L'avvento del nuovo millennio segna anche l'inizio di nuove emozioni. Nuovi timori, nuove gioie. La paura della fine del mondo, la felicità nel ritrovarsi ancora vivi.
Ma nell'aria s'ode anche nuova musica. Più che altro, un nuovo tipo di intenderla.

C'è chi, come i Sigur Ròs, la vide allora (e la vede tuttora) come mezzo di apertura nei confronti del mondo che cambia, come modo per far conoscere i freddi moti d'Islanda, la loro terra natìa. E' da essa che traggono linfa vitale, ed è a essa che si ispirano.
In questo "Ágætis Byrjun", nei suoi testi ermetici e incomprensibili (scritti e cantati interamente in islandese), c'è tutta la luce e il buio della loro isola, tutto il candore della neve o la potenza di un geyser. Dalle cupe sonorità di "Ny Batteri" alla giocosa ninna nanna di "Olsen Olsen", dalla gioia di vivere e dalla bellezza di un fiore che sboccia tra la neve che sembra trasmettere la stupenda "Staralfur" sino alla tenerezza dei bambini affetti da Sindrome di Down che giocano travestiti da angeli nei prati di "Svefn G Englar", uno dei brani più ispirati dell'intero album. Non si può non ascoltare con venerazione questo lavoro. Non si può che rimanere estasiati e al contempo impauriti dall'immensità che questi giovani islandesi sanno esprimere grazie ai loro suoni ora distorti ora fastosi e orchestrali. Senza dimenticare il merito che va alla voce di Jon Por Birgisson. Voce stridula, voce quasi aliena, voce da satiro dei boschi, voce malinconia, voce angelica. Voce grande.

Molteplici sono le emozioni che sanno trasmettere queste dieci perle, ultima ma non meno importante quella che questo lavoro è come il serpente che si morde la coda, come il simbolo di un millennio che termina ed uno nuovo che nasce, come l'idea che "Ágætis Byrjun " non abbia mai fine. E' un circolo vizioso: non appena termina l'ultima traccia, lo si riascolta per intero dall'inizio.

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