Ottavo album in studio per i Sigur Rós, a ben dieci anni di distanza dall’ultimo lavoro. La band islandese che meglio ha saputo musicare la propria terra ritrova il proprio tastierista dopo un periodo di assenza (ma perde il batterista) e torna in una veste fedele al proprio percorso ma piuttosto diversa. Ci avevano abituati ad un sound spesso in crescendo, di base lento ma in grado di aumentare di intensità e rumorosità, a rumori di chitarre e batterie ossessive. Mettetevi l’anima in pace, qui non si manifesta tutto questo, “Átta” è il trionfo del minimalismo. Ma la cosa non deve preoccupare più di tanto, specialmente se si è predisposti al viaggio mentale. La musica continua assolutamente ad essere una rappresentazione di passaggi sonori suggestivi e pittoreschi ma tutto viene rallentato e denudato. È l’album più lento e volutamente scarno del catalogo dei Sigur Rós, “Átta” fa del suo sound ridotto all’osso un punto di forza, incanta e fa paura servendosi di pochi elementi; non è esattamente una novità, già l’album “Valtari” era molto lento, ma qua si esagera in tutti i sensi, “Átta” è proprio un “Valtari” portato ad estreme conseguenze, se vi era piaciuto quello non dovreste avere problemi a familiarizzare con questo.

Niente batteria (solo qualche timidissima percussione), niente suoni evidenti di chitarre, musica delicatissima e aritmica. A dettare legge è l’orchestra ma non c’è nulla di sinfonico classico, a trainare l’ascoltatore per tutto il minutaggio è solo un unico grande tappeto orchestrale, che sa anche farsi più intenso ma rimane un tappeto. In pratica sto dicendo che “Átta” non è un album post-rock ma è piuttosto un album di musica ambient atipica.

Eppure è quanto basta per appagare le orecchie, per ammaliare, per far viaggiare, è la dimostrazione che quando si è davvero bravi a giocare con pochi elementi si possono fare grandi cose, non proprio tutti ne sono capaci.

Rimane in me un po’ di rammarico per la mancata prosecuzione del discorso cominciato con “Kveikur”, mi dispiace che quell’insolito industrial-noise sia rimasto una parentesi isolata, ma ho apprezzato molto il coraggio di tornare dopo un lungo decennio e rimettersi ancora una volta in discussione riuscendo comunque a conservare il proprio marchio di fabbrica.

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