Ascoltando tanta musica si finisce sempre per fare degli errori, a volte irrilevanti, tante altre poco ragionati. Trasportato dunque dalla disattenzione e grossolanità di massa, sono arrivato a pensare non solo che i Sigur Ròs appartenessero alla cosiddetta corrente Post-Rock, ma persino che oramai fossero divenuti un gruppo al pari degli altri. Devo credere che la folgorazione mi abbia colpito guardando "Heima".
Parte prima: dove si narra la mia vicenda con i Sigur Ròs, i loro lavori e tutto quanto, fino a ieri sera.
I Sigur Ròs mi sono piaciuti quasi subito, anche se l'impatto iniziale è sempre un po' straniante. Di sicuro la cosa più difficile da digerire sono i testi rigorosamente in islandese, che mi hanno reso un po' difficile anche l'approccio con il meraviglioso Ágætis Byrjun (nonostante sia, come dice il titolo tradotto, un buon inizio). In seguito tutto è proceduto senza ostacoli preoccupanti, finché il famoso disco senza titolo "( )" mi ha cambiato la vita. Nel senso che da lì la musica ha cambiato faccia per davvero, che ogni cosa aveva inizio e fine nei primi e ultimi istanti di questo capolavoro. La mia maniera di vedere la vita ha assunto la forma di una parentesi: nel mezzo, ho capito che non avrei potuto scorgere nulla, anche se ci fosse stato. Perciò ho pensato di lavorarne i contorni, e di essere felice semplicemente per quello che era e per quello che io potevo fare. Ed è stato quasi sempre così. Per il resto, "Von" non mi ha entusiasmato, poco di più "Takk.." (certamente incompleto) e pochissimo il recente "Með Suð í Eyrum Við Spilum Endalaust", del quale mai riuscirò a pronunciare il nome, che giammai mi servirà (visto che lo chiamerò "quel disco là", con un po' di disprezzo).
Per il resto, ciò che mi ha reso felice è stato l'intermezzo di "Hvarf/Heim", la cui seconda parte mi ha riservato un live acustico di emozione pura, una summa della poetica dei Sigur Ròs, da lasciare senza fiato. Ora vivo felice coi miei dischi del gruppo, sapendo che la loro essenza più pura e inimitabile si è consumata fra il 1999 e il 2002, un triennio che li ha consegnati alla storia.
Parte seconda: dove si narra l'avvento di "Heima".
La mia curiosità per questo docu-film è cresciuta nel tempo, finché proprio ieri mi sono deciso, e con ansia ho atteso che facesse sera per chiudermi in camera e dedicarmi soltanto ad esso. Sono partito senza alcuna informazione, lanciandomi nel bel mezzo di questa esperienza illuminante.
"Heima" significa "a casa", e infatti i nostri beniamini li troviamo proprio a casa loro. In Islanda, per un'intera ora e quaranta minuti. Attraverso immagini nitidissime, i Sigur Ròs ci raccontano il loro tour gratuito del 2006 in territorio islandese. Tornati dal successo dei concerti in giro per il mondo, i nostri fanno un regalo solo ai loro conterranei, offrendogli concerti intimi, scarni e decisamente più sinceri di quelli sul palco. Un momento dedicato solo a loro, nel nulla che delinea l'Islanda. Episodi fuori dal mondo "civile", come la loro musica.
Le riprese sono incentrate, molto più che sulla band al lavoro, sulla gente che li ascolta: donne, uomini, bambini (tanti), anziani. Sono tutti invitati a prendersi questo momento di liberazione, e di orgoglio per il gruppo figlio della loro meravigliosa terra. Le inquadrature degli esterni, leggermente mosse dal vento, sono di per sé commoventi. Lì sanno davvero cos'è la pace, la quiete. Lì sanno cosa significa vivere.
Ogni istante di questo film è dedicato dai Sigur Ròs alla loro amata patria. La musica, se non fosse per la nostra opinione, non sarebbe altro che una colonna sonora come altre. Siamo noi a non poterne fare a meno, perché abbiamo riconosciuto in essa una musica estemporanea, fine a sé stessa, che non ha uguali in nessun luogo di questo mondo.
Non ci resta perciò che iniziare questo viaggio a mente vuota, lasciandoci cullare dai brani (volutamente) più delicati e toccanti del gruppo, quelli che più li hanno caratterizzati come una realtà fondamentale dei giorni nostri. La voce di Birgisson diventa narratrice dei luoghi che i nostri occhi possono ammirare, allibiti. Panorami che lasciano spazi infiniti davanti a loro, edifici abbandonati per sempre, immense pianure solcate dal gelo nordico. Gli elementi che mi hanno fatto capire che una musica come quella dei Sigur Ròs poteva nascere solamente qui, lontano da tutto e tutti.
Parte terza: dove si giunge alle conclusioni - forse un po' affrettate - di questo viaggio indimenticabile.
I Sigur Ròs hanno compiuto la magia oltre la magia: i loro brani, dietro una tacita biografia visiva, raggiungono il sublime, facendoci dimenticare per un paio d'ore scarse tutti i prismi psichedelici, i Re Cremisi urlanti e le terre grigio-rosate. I Sigur Ròs non suonano Post-Rock, suonano come suonano i Sigur Ròs, cioè come non suona nessun altro.
Partendo da Glòsòli, passando per Olsen Olsen, Vaka, Staràlfur e chiudendo sulla allucinante Popplagið, le mie pupille si dilatano riempiendosi di piacere. Vado a letto rinfrancato, accompagnato dalle ultime strazianti note dei titoli di coda (Untitled #3), consapevole che le immagini di poco prima mi hanno reso meno solo. Finalmente mi sento anch'io a casa.
Staràlfur (estratto da Heima, imperdibile)
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