Gli islandesi Sigur Rós sono tornati. Alla sola distanza di un anno dal loro ultimo album "Valtari" rientrano in scena e lo fanno col botto. Il disco che vado a presentare è una bomba e non lascia nulla al caso. E' la volta quindi di "Kveikur", uscito tra il 17/18 Giugno 2013 per l'etichetta britannica Xl recordings. L'opera è stata anticipata da due singoli 'apripista' usciti rispettivamente in Marzo e Aprile, "Brennisteinn", la traccia di apertura e, potremmo dire, la chiave dell'intera opera e "Isjaki".
Il clima di attesa è stato anticipato però durante una loro performance all'Iceland Airwaves Festival nell'Ottobre 2012 dove i nostri presentarono per la prima volta al pubblico l'inedito "Brennisteinn" svelando quindi il nuovo disco in preparazione e soprattutto una svolta nella loro carriera; ciò coincide con la dipartita dal gruppo del tastierista storico Kjartan, punto di partenza per il rinnovo che la band si profila. "Brennisteinn" appare infatti subito aggressiva e virante verso suoni elettro-rock, decisi e pulsanti, in netto contrasto con i Sigur Rós di "Valtari" completamente immersi in un clima dolce e tranquillo, in flauti lievi e note melodiose e i Sigur Rós di sempre , così attenti alla ricerca di atmosfere oniriche ricche di pathos mai troppo incalzanti. Questo è il cambiamento che essi stessi dichiarano nelle varie interviste, il nuovo album dal titolo "Kveikur" ("stoppino" in italiano) sarà decisamente più duro e deciso, rappresentante la nuova condizione del trio rimasto. In realtà dopo un primo ascolto del lavoro completo ci si rende conto che ciò è vero solo in parte; restano comunque le melodie cariche di suoni e le atmosfere oniriche a cui la band ci ha abituato negli anni. Nove dunque sono le tracce più in allegato il video di "Brennisteinn"; attenzione va sempre fatta per i titoli, semplici e concettuali riprendenti in questo caso fenomeni naturali, pietre e oggetti. La ricerca quindi è quella dell'essenzialità sempre però molto raffinata. La copertina colpisce subito e rende bene l'idea; un'immagine in bianco e nero di un incappucciato in primo piano su sfondo nero. Ne risulta, senza esagerazione, un capolavoro che consacra la band all'Olimpo e ci fa comprendere la straordinaria maestria e padronanza dei loro strumenti, musica e spirito.
Tracklist (NdR le parole che introducono la descrizione sono esclusivamente un riferimento personale a ciò che l'ascolto di ognuna mi ha suscitato)
Brennisteinn (Zolfo) – 7:46. La fuga- L'annunciatissima canzone apre l'album e fa intuire subito l'orientamento del lavoro. Appare dalle prime note oscura e decisa, l'elettronica si fa spazio tra suoni distorti e atmosfere cupe dove il ritmo incalzante procede nota dopo nota e ci porta a seguirlo col fiato sul collo fino all'ultimo minuto dove improvvisamente cambia la melodia e riprendiamo fiato, la tensione si allenta, i suoni si fanno armoniosi e più lenti fino a sfumare. Essenzialmente è ottima, nulla è lasciato al caso e contiene tutte le caratteristiche della band, le già assoldate e le tanto annunciate in via di formazione.
Hrafntinna (Ossidiana) – 6:24 I ricordi- Subentra immediatamente la commozione appena si sente il suono soave e magico dei piatti e delle campane. La mente va a pescare immagini e sensazioni vissute in un turbinio di emozioni che scivolano fino all'ultima nota. Questo pezzo incanta, è una favola narrata dalla voce dolce e acuta di Jonsi che ci trasporta con lui in un mondo fatato. Qui si stenta a vedere cambiamento, unica nel loro genere già assoldato col tempo. Fantastica, c'è solo da chiudere gli occhi e abbandonarsi totalmente.
Ísjaki (Iceberg) – 5:04 La speranza- Leggendo qua è là ho notato che ricorre spesso la definizione "pop" per classificare il pezzo in questione e ciò non mi trova del tutto d'accordo. Indubbiamente "Isjaki" è il più immediato dell'album, struttura semplice e leggera, ritornello facilmente cantabile, musica ritmata al punto giusto da renderlo un pezzo più da radio rispetto ai restanti. Tuttavia non rende giustizia catalogarlo solo in quella fascia; c'è una costante di ricerca che caratterizza il modo di fare musica dei nostri che si ripete anche qui, un modo tutto loro di reinventarsi e interpretare anche le cose più facilmente assimilabili, come in questo caso. Non mancano il clima sognante e la voce accorata che ci accompagnano sino all'ultima manciata di secondi dove ci attende un finale nel loro stile, suoni lenti e ben distinti che fanno emergere sensazioni ben precise. Da ascoltare più volte.
Yfirborð (Superficie) – 4:20 La mancanza- Siamo giunti a metà all'incirca dell'album e il pezzo in questione ci cattura per la sua particolare composizione. La struttura non si distanzia totalmente dal loro classico stile ma è ciò invece che la arricchisce che fa drizzare le orecchie e aprire gli occhi. Ciò si capisce sin dall'inizio quando una voce distorta esordisce e da il via ad una sorta di pluralità di melodie; dal secondo minuto si sovrappone infatti alla voce di Jonsi e alla melodia una seconda base ritmata e pulsante a contrasto con l'andamento piuttosto tranquillo della traccia. Ne deriva un lavoro originalissimo, ben costruito, non di immediata comprensione.
Stormur (Tempesta) – 4:56 La libertà- Questa canzone riprende l'impostazione di "Hranfntinna" anche se meno ricca di suoni. Il ritmo si alterna da lento a più incalzante nei punti chiave in un alternarsi che risulta omogeneo e azzeccatissimo. Le atmosfere si fanno spazio tra la voce netta e delineata e i suoni in sottofondo di piatti e campane. Personalmente la ritengo una delle più riuscite, da divorare.
Kveikur (Stoppino) – 5:56 L'inquietudine- Trattasi della traccia che da il titolo all'album, "Kveikur" è senza dubbio un inedito con la i maiuscola nonché il brano più rappresentativo della svolta tanto annunciata dalla band insieme a "Brennisteinn". Elettronica unita a rock con inserti di distorsioni di voce e di suoni. L'Atmosfera contorta e cupa porta l'ascoltatore a perdersi nelle note seguendo il ritmo preciso e incessante che sfuma in pochi suoni non delineati. Traccia singolare ma di grande effetto senonché consacrante, come se ce ne fosse bisogno, la grande abilità dei nostri.
Rafstraumur (Corrente elettrica) – 4:59 La gioia- Come per ogni cosa, c'è sempre l'eccezione alla regola. E' il caso di "Rafstraumur", brano che ci riporta immediatamente alla mente "Hoppipolla" per i suoni lievi e leggeri e la gioia pura che essi sprigionano. Ciò si pone a contrasto con le sfumature più cupe suggerite dall'intero lavoro e ciò pone ancora più in risalto questa bella melodia che ci fa sorridere la mente e il cuore e arriva nell'anima, sollevandola.
Bláþráður (Filo sottile) – 5:13 La perdita- La penultima traccia si rifa al duo "Hranfntinna" e "Stormur", semplicità di struttura densa di atmosfere che ci prendono per mano e ci accompagnano tra note sospese nell'aria e virtuosismi. La voce di Jonsi si fa qui lo strumento chiave in una rincorsa alle note che si fa a tratti più incalzante, a tratti più lenta. La differenza la fa l'ultimo minuto; i suoni rallentano di colpo e si fanno regolari, precisi e noi con loro torniamo a terra, con pesantezza. Ai più forse saprà di già sentito, personalmente la ritengo tra le migliori.
Var (Rifugio) – 3:45 La nostalgia- La traccia conclusiva è tutta suonata al pianoforte ed è una netta sorpresa. Suoni ben chiari, distanziati, melodia lentissima dall'ascolto facile e ben comprensibile. Tre minuti in cui rilassarci e tirare le fila di tutto l'ascolto.
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