Kjartan Sveinsson è uscito dal gruppo. Volendo sdrammatizzare parafrasando il (purtroppo?) noto titolo bibliografico possiamo così completare la messa a fuoco (corre l'anno 2013) dell'indubitabile crisi dei processi creativi dei Sigur Rós. Che la significatività del fatto sia poi stata sottodimensionata dallo stesso ex-quartetto islandese è altrettanto appariscente ed in egual misura investe di un riflesso prodromico il non entusiasmante "Valtari" (nonostante l'imponente e ambizioso progetto parallelo "Valtari Mystery Film Experiment" e nonostante l'idea promozionale del "Valtari Hour" è comunque un fatto che nel successivo tour planetario di supporting dell'album il citato ormai ex-tastierista sia stato “re-integrato“ in termini di sound nell'organico attraverso le sostituzioni con Ólafur Björn Ólafsson e Kjartan Dagur Hólm). Privato delle linee melodiche (spesso pianistiche new classic) disegnate dalle tastiere di Kjartan, dunque il gruppo si è de facto trovato a doversi re-inventare un profilo stilistico globale. Il risultato è un album quasi inevitabilmente controverso come "Kveikur". Il cambio di passo è tale da indurre a parlare di punto di ripartenza, ri-configurandosi quindi l'atmosferico "Valtari" come chiusura di un ciclo aperto esattamente dal primo album "Von". Le dolci e luminosissime melodie boreali si infrangevano come vento radente su lontanissime pianure shoegazer, per poi, più tiepide e placide, scivolare a plasmare il più articolato scenario onirico di "sonnambulismo angelico" fino alla commozione struggente del terrestre sogno fanciullesco al ralenti di "Hoppípolla". Le eteree atmosfere folktroniche e le rarefatte linee pianistiche sciolte nell'ambient quasi statico di "Dauðalogn" (in merito al citato sesto album in studio dell'oramai trio islandese i vari componenti avevano coniato la suggestiva immagine "una valanga al rallentatore"...) sembrando quasi sfumare come la "Luce d'estate" di Jón Kalman Stefánsson in un'oscurità punteggiata però di fragori incandescenti. Ecco quindi i clangori di "Brennisteinn", il singolo battistrada, in cui rumorismi echeggianti vagamente addiritura i Neubauten più "pacati" (quasi un ossimoro) preludono all'avvento di un compatto muro chitarristico alla Smashing Pumpkins con il cantato suadente di Jónsi / Jón Þór Birgisson scorrere subglaciale sotto algidi contrafforti strumentali. La matrice industrial del disco affiora con accresciuto nitore nella title-track "Kveikur" (il tema del fuoco inteso come iniziale scintilla che percorre una "miccia" o aleggia sullo "stoppino" di una candela ricorre anche a livello testuale... "Kveikjum í kveikiþráðum / Og hlaupum / Höldum fast fyrir eyrun...", "Accendiamo una candela / e corriamo verso un riparo sicuro / e aspettiamo, / aspettiamo..." è solo l'inizio di una tempesta di lapilli, magma esplosivo, getti violenti di geyser...) mentre a livello sonoro ciò che più sembra avvicinarsi come termine di paragone sono i Depeche Mode intorno al periodo "Ultra" in tonalità vagamente post-rock... (un drone cupo e dal sapore industrial avvolge come un alone di luce fissa una scansione ritmica mai così esplicitamente electro, pesante e rallentata...) si tratta del probabile climax espressivo dell'opera. Laddove il secondo singolo "Ísjaki" rimescola le atmosfere meodiche più riconoscibilmente sigurrossiane con nuove, dinamiche linee di batteria, più pulite e potenti, "Rafstaumur" è dell'intero lavoro l'episodio più irruento e imptuoso, perfetta sintesi tra i vocalizzi angelici di Jónsi, i rumorismi industrial "berlinesi" e i sinfonismi neo-classici sintetizzati, si muove perfettamente bene entro le nuove coordinate stilistiche. Infine, la conclusiva "Var", strumentale e puntegggiata da tocchi pianistici nascia nuovamente fluttuare liberamente le light curtains di una verde aurora gelida in pieno inverno. Sia chiaro che i Sigur Rós, proprio in quanto riescono a mantenere una cifra stilistica altissima, ora (che da pochissimo hanno lambito il Continente Euroeo per alcune date anticipando 4 inediti) di "indie" o "alternative" conservano solo le origini, e non è affatto poco... l'imponderabile plus hopelandic che ne ha marcato l'enorme differenza rispetto a infiniti altri progetti/monikers/gruppi di una sempre più "esplosiva" e presunta "scena islandese", ad ogni album sempre in perfetto allineamento e incastro entro una matrice fondativa musicale che lambisce una sorta di nuova "classica" con ogni genere di contemporanee e talvolta futuristiche contaminazioni, ha dato vita ad un'esperienza che ha i contorni di un unicum. Tuttavia i tre islandesi incidono per la EMI, e anche per la Geffen (cioè, per ricordare: Nirvana, Red Hot Chili Peppers, Guns'n'Roses, ma anche Garbage e The Cure: non credo che nel contesto dello showbiz le coincidenze siano quasi mai casuali, e infatti ecco la innegabilmente grande videomaker Floria Sigismondi al lavoro su "Leaning Towards Solace" e '"Untitled #1 (Vaka)" dopo aver girato il noto "The End of the World" degli ex Tre Ragazzi Immaginari ma anche "Obstacle 1" degli Interpol, "Chinese Burn" dei Curve e "Supermasive Black Hole" dei Muse... appunto quando si dice l'alternative-rock). Tornando a "Kveikur" (che è tutt'ora l'ultimo lavoro in studio dei Sigur Rós): un passo falso per alcuni, un nuovo corso per altri (in minoranza), forse un disco da rivalutare.
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