C'è un bambino di nome Glòsòli che, un giorno, si sveglia, si alza dal suo giaciglio e si accorge che, al di fuori della sua finestra, tutto è scuro. Non c'è più luce. Intraprende così un viaggio alla ricerca del Sole, che pensa sia stato rubato da qualcuno.
Questa è pressappoco l'inizio della bella fiaba che sta alla base di "Takk..." ("grazie" in islandese). Ed è attorno a queste atmosfere fiabesche che si snoda questo nuovo, grande lavoro della band venuta da lontano.
Le emozioni che si provano, ascoltando queste musiche, sono paragonabili a quelle che una qualsiasi persona ha nel cuore quando scorge tra le siepi del proprio giardino una goccia di rugiada pronta a cadere dalla punta di un petalo di giglio: emozioni semplici, purissime.
Molto più simile ad "Agaetis Byrjun", per quelle sonorità ariose ma al contempo impercettibili e malinconiche, che a "()", più oscuro e pesante (ma pur grandissimo). Le canzoni (anche se definirle in tal modo è riduttivo) sono accomunate da un unico, fondamentale aspetto: dal quasi silenzio salgono d'intensità, crescono, per poi giungere ad un tripudio di chitarre e percussioni da brivido (i Sigur Ròs sono coerenti: è questo il loro marchio di fabbrica). Così è per l'allegra "Glòsòli", così anche per la stupenda "Hoppìpolla", introdotta da flebili note di pianoforte, al quale poi si aggiungono archi e batteria, un'ascesa gioiosa e memorabile.
Ascesa che sembra avere continuità in "Meò Blòònasir", del tutto simile come ritmo, e più in generale come sonorità (ma comunque molto più pacata). Il suono di un carillon e fastosi violini sembrano ispirare la voce stridula di Jonsi in "Sè lest", nel quale trova spazio una simpatica marcia a suon di trombe che quasi ricorda il passaggio di un re in mezzo alla folla adorante del suo principato. Con "Saeglòpur" si fa un salto nel passato verso "()": pianforte in evidenza, voce lontana e echeggiante così come le chitarre e ancora una volta percussioni potenti (una delle costanti di tutta l'opera dei Sigur Ròs). E se "Mìlanò" permette all'ascoltatore di rifiatare, nonostante la continua ascesa verso il solito, forte impasto di piano/chitarre, batteria (per poi scendere lievemente ma gradualmente di intensità), con la bellissima "Gong" si arriva ad uno dei pezzi più "pop", secondo me, della discografia della band islandese: batteria, chitarre e violini ci sono sempre, ma qui il ritmo è diverso, molto più veloce e ossessivo, con la voce di Jonsi che si allunga a dismisura, altalenante e stupenda nei suoi "ululati".
Dopo la parentesi un pò sottotono di "Andvari", con "Svo Hljòtt" l'album raggiunge il suo picco di ispirazione massima, di coinvolgimento, di bellezza: una malinconica ballata, accompagnata inizialmente dal solo pianoforte e dalla voce del cantante, al quale poi si accostano anche la batteria, prima dal sottofondo, poi prepotente, archi e chitarre. Il crescendo è maestoso: questa canzone sarebbe stata perfetta sia in "Agaetis Byrjun" che in "()". Un must, semplicemente eccezionale.
E, come degna conclusione di un grande album, troviamo "Heysàtan": il cerchio si chiude per come si era aperto. Quasi in silenzio, come una ninna nanna. Quella che Glòsòli ode dopo aver finito la sua avventura, dopo essersi rimboccato le coperte ed essere andato a letto, stanco ma felice per aver ritrovato il sole.
E chiude la luce.
"Takk..." trasmette luce, ombre, malinconia, felicità. Sono queste le emozioni che ho provato. E quando si finisce di ascoltarlo, lo si rimette nel lettore per ricominciare la fiaba.
Ormai i Sigur Ròs sono un gruppo affermato a livello mondiale (il loro tour lo testimonia), dal vivo sono incredibili e, fortunatamente, le radio non saranno mai, così come le televisioni, il loro pane quotidiano. Sta a noi cercarli ed informarci assiduamente per tenerli d'occhio, come se dovessimo inseguire una luce che ci conduce nel cuore di una foresta di conifere per farci scoprire un mondo sconosciuto e fantastico.
Chi pensava che la band islandese avesse finito le cartucce dopo il controverso "()", troverà risposta in "Takk...", che forse pecca SOLO di una certa uniformità: non ci sono cambi di stile così netti tra un brano e l'altro (ma per me non è necessariamente un difetto, anzi: il lavoro mantiene una certa coerenza). Insomma, i Sigur Ròs ringraziano il pubblico,ed io personalmente ringrazio loro: aria fresca, pulita, nuova, aria di poesia.
Per chi piace.
Signore e signori, un signor album.
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