Fine maggio 2012. Esce "Valtari", il sesto album in studio dei Sigur Rós.
L'album è in netta contrapposizione con il precedente "Með suð í eyrum við spilum endalaust", dove la band islandese si era avvicinata a sonorità più accessibili nella prima mezz'ora. C'è chi l'ha paragonato al loro album ( ) (Untitled) pubblicato 10 anni prima, ma vi sono grosse differenze. Entrambi sono molto, molto lenti, con le dovute eccezioni, ma il primo è una lentezza cupa, pessimistica, "Valtari" invece è, come definisce il bassista "Goggi" "Una valanga al rallentatore", lento, intimo, ma ottimistico, è come vivere un sogno lungo 54 minuti. I 4 elfi ricominciano a sperimentare in un ambiente che può riportare ai lavori precedenti, ma allo stesso tempo è difficilmente accomunabile agli stessi.
"Ég anda" è il pezzo introduttivo dell'album, una moglie che attende al porto il ritorno del marito mentre sorge l'alba, se poi "Ekki múkk" riporta ad un senso di vuoto, dove si avverte una calma quasi aliena, spaziale, con una tensione che fatica ad aumentare, seppur presente, "Varúð" cancella tutto ciò con uno dei brani più belli dell'album, un crescendo continuo, distaccato dal resto dell'album, uno sfogo, sicuramente il brano che più consiglierei ad un ascoltatore esterno. "Rembihnútur" fa tornare tutto calmo, lento, iniziando con un intro che può far ricordare ad un orecchio attento la traccia omonima di "Takk..." un pezzo dalle atmosfere dell'album previo citato, poi ci pensa "Dauðalogn" a far togliere il respiro, una canzone dalle atmosfere sognanti, accompagnata da una meravigliosa voce del frontman Jonsi, che dopo questo brano abbandonerà l'album. Una canzone che toglie il fiato. "Varðeldur" è la prima delle ultime 3 tracce dell'album, tutte strumentali. Questa rappresenta una nuova versione di Lúppulagið presente nell'album live "Inni". Caratterizzata da un ripetersi di un giro di note al pianoforte, può far venire in mente brani di album precedenti, come Samskeyti, ma la sua particolarità sta nel rimanere costante, piatto, la cui minima variazione è subito rilevata, in tema proprio con l'album. La title track è anch'essa lenta e sognante, un bambino che impara a temere il mare, la calma prima della tempesta. La tempesta tuttavia non avviene ma l'album si spegne con l'ultima traccia strumentale "Fjögur píanó", un brano acustico al pianoforte che termina il lavoro così come era iniziato, stavolta il marito riparte per il mare e la moglie lo osserva allontanarsi fino all'orizzonte.
Dauðalogn e Varúð sono i brani fondamentali dell'album, ma non vanno estrapolati. E' come un unico fiore. Nasce, si nutre, respira, è immobile, e infine perde i lentamente i suoi petali...
Suggerisco di ascoltarlo ad occhi chiusi.
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