When our first album came out, we had just put together the band and it was all like a dream. I played the record to my parents and they got petrified. Then my little sister, Sigurrós, started to cry. I went to the kitchen to prepare a coffee, my mother followed me and said: "mmmm, nice record".

L'inizio è infatti spettrale. Il primo quarto d'ora è fatto di silenzi lontani, rumori vicini, urla lancinanti e scampanellii che dire inquietanti è dire poco.
Riaccendo la luce e mi chiedo se siano i Sigur Rós.
Sì sono loro, le battute di "Hún Jörð" e le atmosfere di "Dogun" mi ricordano qualche struttura di ( )... poi i "18 secondi di silenzio prima dell'alba", prima che il sole affiori dal mare e cavalchi i 12 minuti narcotici di "Hafssól"... quindi la cantilena soffice di "Von" e le orchestrazioni d'ovatta di "Syndir Guðs" mi riportano ad Ágætis Byrjun.

Ho appena percorso a ritroso il sound dei Sigur Rós in 70 minuti, contorti e rarefatti, che condensano sei anni, da oggi al 1997, quando questo lavoro vide la luce, quando i Sigur Rós, pennello alla mano, riverniciarono lo studio in cambio della registrazione dell'album.
Quando ancora erano solo il bozzolo deforme di una stupenda farfalla, irriconoscibili da come li sentiamo oggi e tuttavia già proiettati verso il futuro.

Un esordio a due facce, quindi, come il viso della piccola Sigurrós in copertina: serafico e sognante come un angioletto... che, dietro al jewel-case rosso porpora, ghigna indemoniato.

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