Hanno trent'anni, la disillusione e l'ansia negli occhi, il sorriso difficile e l'umore sempre pronto al prossimo scazzo.
Lavorano in call center, firmano contratti da schifo, sono persi nella nevrotica quotidianità, bevono bottiglie di birra vicino all'uscita di bar e pub di periferia, masticano amaro. Sopportano a malincuore le ansie e le paure finte, alimentate dalla televisione, dei genitori e dei nonni. Hanno trasferito il loro odio da Berlusconi all'intera classe politica.
Non è puro odio ideologico. Sono delusi, incazzati, alienati. Siamo noi, è la generazione della precarietà.
Ballano una musica fuori moda, passano spesso il tempo libero davanti ad un pc, scaricano, amano, ora parlano, ora comunicano, ora polemizzano. Subiscono.
Arrivati al terzo album, dopo aver scavato la terra in cerca delle radici dell'orrore, figurato e selvaggio, i Sikitikis ritrovano l'essenza dello squallore guardandosi intorno. Il risultato è "Dischi Fuori Moda", album figlio di una lucida testimonianza della realtà. Non più film, ma piccoli ritagli di giornale. Non più personaggi, ma solo individui.
Il noir dei lavori precedenti lascia il posto ad immagini e suoni brillanti, quasi a testimoniare la faccia oscura della moderna opulenza mostrata, mai reale, inquietante.
Come in un film di David Lynch: la vernice rosa shocking che immerge le fitte ombre del quotidiano, l'illusoria fuga dal mondo. Tiffany, il consumismo, gli occhi bendati di una società sempre più sorda. Assente e spaesato tra le notizie inutili dei nostri telegiornali.
L'incomunicabilità. Quel guardarsi in modo sospettoso, la sufficienza come prodotto dell'individualismo e del timore, la distanza che ci rende soli e spaesati come pesci in un acquario.
L'Italia (alla moda?) dei Sikitikis è un paese deformato, svilito, imbastardito, cinico e spietato come nella peggiore delle giungle. Ostile e crudele.
Undici tracce tirate come corde di violino, intense liricamente come nei pezzi del grande Flavio Giurato, racchiuse in provette musicali simili a quelle del Bugo di "Contatti", sfrontate come i racconti borderline dei Zen Circus.
Alla domanda: "Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero?", i Sikitikis rispondono: "Che cazzo importa avere trent'anni / se non puoi farci niente / se tua madre ti ha blindato il futuro insieme ad una pelliccia chiusa nell'armadio". Una risposta senz'altro interessante, di quelle su cui meditare.
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