Ho scoperto questa band poco tempo fa, e ne sono rimasto affascinato. La prima volta che ho ascoltato la musica di questi sei giovani inglesi non riuscivo a credere alle mie orecchie: così insolita, così intricata, inconcepibile, folle, ma soprattutto sincera e spontanea, capace di ridurre in briciole e spazzare via ogni sorta di stereotipo, di barriera, mischiando insieme una quantità incalcolabile di generi e stili musicali.
Una band che va oltre il metal da cui in buona parte attinge (consentitemi: per fortuna!) e capace di esplorare tante diverse facce della musica, pesante e non. Partendo da questa premessa, mi accingo a recensire (la mia prima volta su Debaser… ) la loro recente ultima fatica. E’ superfluo dire che aspettavo con impazienza questo “Death Of A Dead Day” (eppure l’ho detto lo stesso…); chissa perché, ma credevo proprio che la band avrebbe sviluppato in questo nuovo lavoro sonorità maggiormente orientate verso il metal, e per me, che pur apprezzando molto il metal in quasi ogni sua forma, ne avverso la ripetitività degli schemi, era più un timore che una speranza.
Eee… i fatti mi hanno dato ragione. Ma non traete conclusioni affrettate: questo è un buonissimo album, suonato benissimo e che moltissime volte (specialmente se è la prima volta che vi accostate alla band) vi lascerà increduli dinanzi ai continui virtuosismi di questi ottimi musicisti e alla potenza devastante delle canzoni (fatta eccezione per tre episodi più tranquilli, di cui uno è una traccia parlata). “Bland Street Bloom” dà il via alle danze (il pogo e l’headbanging sono, ricordatelo, danza), ed è sicuramente uno dei pezzi più riusciti dell’album, uno di quelli che rimane più impresso nella testa, e stupisce tanto per la sua furia distruttrice quanto per la particolarità delle ritmiche e dei suoni, davvero insoliti.
Non si ha nemmeno il tempo di riprendersi e di mettere a fuoco che cosa diavolo questi pazzi abbiano appena suonato, che subito parte la successiva “Flogging The Horses”, ma non riesce a catturare la mia attenzione in modo particolare… rimane impresso solo lo stacchetto verso la metà (“Let apes roar free… tatatatatata…"), ma il pezzo ha sonorità e ritmo forse troppo simili al precedente.
L’album scorre veloce, “Way Beyond The Fond Old River”, “Summer Rain”, ancora una volta due pezzi aggressivi, veloci, la band sembra determinata a fare più caos possibile in tempi il più ristretti possibile, ma continua la sensazione che suoni e ritmi si siano un po’ appiattiti. I pezzi che riescono a spezzare il guscio metal-hardcore in cui il gruppo sembra essersi sino a questo momento rinchiuso sono “In This Light” (molto tranquilla e melodica, dove gli strumenti tessono una soffice melodia su cui si adagia la voce di Justin), “Were Do We Fall?” (ricorda la “Peep Show” del precedente “The Trees… ”, ed è uno dei pezzi più piacevoli) e “When The Moments Gone”, sicuramente la più eccentrica del lotto in quanto a suoni.
Una menzione particolare va alla splendida “Part Of The Friction”, una delle più riuscite, acquista bellezza ad ogni nuovo ascolto, e la parte melodica centrale fa veramente, diciamo, “viaggiare”. Emozionante. Le ultime due canzoni (“Another Sinking Ship”, “As The Earth Spins Around”) colpiscono l’ascoltatore per la complessità dei giri, la prima in particolare, certo il pezzo più duro mai scritto dalla band.
Concludendo: terminato l’ascolto ci si rende conto che questo è senza ombra di dubbio un buonissimo album, che stupisce soprattutto per l’eccellente tecnica dei musicisti, spesso incredibile, e per l’originalità dei suoni. Tuttavia ho notato che, a differenza di quanto accade nel precedente LP, le canzoni, eccezion fatta per qualche episodio, si assomigliano molto fra di loro. L’album scorre via e si ha l’impressione di aver appena terminato di ascoltare un’unica, grande canzone, le cui sfumature emergeranno sempre più ad ogni nuovo ascolto, certo, ma la cui struttura principale è una sorta di blocco unico che suona inequivocabilmente metal, e tende ad essere sempre un po’ uguale a sé stesso nella forma.
Le canzoni che all’inizio colpiscono maggiormente per aggressività e pesantezza(“Bland Street Bloom”, “Another Sinking Ship”, “Summer Rain” ecc.), dopo i primi ascolti perdono un po’ di attrattiva, perché simili tra loro, mentre pezzi come “Part Of The Friction” e “When The Moments Gone” proprio perché più eccentrici degli altri, acquistano, come già detto, forza e bellezza ad ogni nuovo ascolto. La differenza tra il precedente album e questo è sostanzialmente che, mentre “The Trees…” mai si sarebbe potuto definire un album metal (sarebbe stato riduttivo), questo “Death Of A Dead Day” lo è certamente, sì personale, eterogeneo, ma un po’ piatto. Manca quella sensazione che la band stia giocando con la musica, fregandosene di tutto e di tutti.
Sembra che il gruppo abbia voluto fare un disco che fosse efficace soprattutto live, e anche le liriche ne hanno risentito, subendo una sorta di “normalizzazione” e scendendo in secondo piano rispetto alla musica. Il voto risente soprattutto dei motivi di cui sopra, ma, ci tengo a precisarlo, questo è un album validissimo, che piacerà tanto a chi è in cerca di suoni fuori dal comune, tanto a chi vuole musica aggressiva e ben suonata. Album come questo non escono spesso, band come questa non ce ne sono, e il fatto che si siano accostati maggiormente al metal può far piacere o meno, perché è soggettivo.
Forse meno eclettici, ma pur sempre stupefacenti (in tutti i sensi… ). … e con questa rece mi sono presentato al popolo di Debaser… non so se è un buon biglietto da visita, fate voi!!!
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