Non ricordo più quale critico, e per quale testata, nel 1975 affermò che se Hitler avesse voluto invadere la Polonia con un album rock, avrebbe scelto "Sabotage" dei Black Sabbath. E' un'affermazione che mi ha sempre lasciato perplesso, non tanto perché il disco in questione non abbia tutt'oggi un impatto quantomai robusto, piuttosto perché viene da chiedermi: Hitler aveva proprio bisogno di chiedere in prestito un album al nemico?
Nella Germania della prima metà degli anni '70 giravano già opere abbastanza monolitiche per poter rappresentare altrettante divisioni di "Panzer": si potrebbe pensare ai primi LP degli Scorpions, oppure rovistare fra l'heavy psych piuttosto in voga in terra teutonica in quegli anni, dagli esordi degli Eloy a gruppi più oscuri come Nosferatu o Night Sun, fino alle debordanti scorribande dei Guru Guru.
La mia corazzata preferita rimane, però, "4 Times Sound Razing" dei Silberbart, power trio formato da Tajo Teschner (voce/chitarra), Peter Behrens (batteria) e Werner Flug (basso). La caratteristica che rende quest'album unico non sta nella sua originalità, contando che i punti di riferimento della band - dai Guru Guru ai Blue Cheer, con un tocco di MC5 e qualche vaga tentazione (free) jazz - sono tutti ben riconoscibili, né nella potenza sonora fine a se stessa. Il fascino di "4 Times..." sta in ciò che ci dice della cultura da cui proviene, quella germanica (prima che tedesca): si tratta infatti di un album non solo semplicemente dirompente, ma autodistruttivo. L'autodistruzione è una nota che dà una tinta disperata e fatalista a tutta la cultura germanica: è presente nel Crepuscolo degli Dei, non un semplice mito apocalittico, ma una lotta finale tutti-contro-tutti, nella quale gli stessi dei non hanno altro fine che distruggere ed essere distrutti, trascinandosi appresso l'intero cosmo. E' l'autodistruzione della Guerra dei Trent'anni, un conflitto la cui portata spaventerebbe ancora oggi. E' il delirio finale di Hitler di fronte all'imminente fine del proprio Reich, quando avrebbe voluto trascinare l'intera Germania in un suicidio di proporzioni inimmaginabili.
E' quello che ti viene in mente quando ascolti questo LP fin dalla sua prima traccia, dal titolo un po' demente di "Chub Chub Cherry". Stoner alla Blue Cheer, basso jazzato, voce gridata e strozzata, ritornello quasi in punta di piedi, poi tutto accelera drammaticamente sull'assolo di chitarra, come un'auto lanciata deliberatamente a tutta velocità in direzione di un muro.
Ed è solo l'inizio. Il terzetto si agita nervoso, irrequieto e scomposto fra atmosfere volutamente antitetiche, giocando contrasti che lasciano spiazzati, senza appiglio. Le desolate, esili strofe di "Brain Brain" esplodono improvvisamente in urla convulse e movimenti volutamente sgraziati, la già durissima "God" evolve in una litigata sonora senza paragoni, "Head Tear of the Drunken Sun" parte come la migliore heavy psych marcata California per poi passare attraverso tutte le fasi del free-rock più decostruito e sconnesso.
Questo deliberato atto di autolesionismo sonoro si staglia anche per l'impatto sinistro e a tratti violentissimo, di una modernità insospettata. Non si può non pensare agli Slayer di "Hell Awaits" quando si sentono certi riff e certi passaggi di "Brain Brain", mentre basterebbe accelerare le strofe di "God" per ottenere un brano dei Kreator - il cantato, in questo caso, sarebbe già perfetto.
Amo quest'album, quindi, non solo per la sua esuberanza krautrock, per le ripetute ondate di chitarre saturissime, per il suo buon sapore seventies. Lo amo per l'atteggiamento, perché alla fine di un ascolto mi ritrovo a controllare che non mi abbia devastato casa, o che non mi abbia fatto perdere il controllo fino a farmi picchiare la testa contro una parete. Non mi stupisce affatto che poco dopo la pubblicazione di "4 Times Sound Razing" i Silberbart si siano sciolti: cosa avrebbero potuto inscenare dopo un'opera così estrema? E' per questo che il Krautrock rappresenta (quasi) sempre una garanzia: non ha mai conosciuto mezze misure.
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