Era chiamato ad un pronto riscatto il five-piece dell'Ontario, dopo il  mezzo passo falso e deludente "Arrivals & Departures" e così a distanza di due anni dall'ultimo disco, il 31/3 ha visto la luce "A Shipwreck In The Sand", quarta release ufficiale del combo.

Dopo aver prodotto album di pregevole fattura come "Discovering The Waterfront", stavolta i Silverstein si presentano al pubblico con un progetto più ambizioso che ricalca la linea del concept album. Il disco è composto da 14 episodi (12 effettivi più due ottime mini semi-strumentali ben eseguite "Their lips sink ships" e "The tide raises every ship") a sua volta divisi in quattro capitoli, in cui in ognuno si delinea una trama e una storia che successivamente funge da collegamento tra i vari chapter dell'opera. Argomenti trattati sono il fuoco e la voglia di bruciare tutto quello che ci circonda come pilastro portante del primo capitolo, mentre successivamente vengono affrontate altre tematiche come le bugie, la fedeltà filtrate attraverso la storia di due fidanzati e nella terza parte un capitano che perde la fiducia e la stima del suo equipaggio.

A livello di sound, in maniera massimale si può affermare che non ci siano stati grandi cambiamenti di genere, come invece avviene sempre più spesso a loro colleghi, sebbene il disco ostenti una compattezza, un'aggressività e un lato più  heavy, che sul disco precedente sembrava essere perduta. Da notare come rispetto al passato sia aumentato lo spazio destinato al cantato in screaming.

Che qui si respiri un'aria più fresca lo si capisce subito dai primi due pezzi. "A great fire" mostra il lato più aggressivo della band con ritmiche tirate e screaming lancinanti, introdotto da note di pianoforte e da una tempesta chitarristica, rivela tutta il suo splendore nel soave ritornello pacato capace di emozionare fin da subito e riportare alla mente un anthem storico del combo ovvero "Smashed into pieces".

Poi arriva il primo singolo "Vices" che vede una delle diverse featuring e ospiti che danno man forte dietro al microfono a Shane Told nelle canzoni, qui trattasi di Liam Cormes (leader dei Cancer Bats). Ottimo pezzo e la migliore insieme all'opener, con anche qui un lato hardcore e heavy ben messo in evidenza dalle chitarre pesanti, con urla frequenti e continue, che riportano alla mente "Bleeds no more" uno dei singoli del primo disco, ed era da allora che i Silverstein non si presentavano al pubblico con un singolo cosi tirato.  Mentre più melodica, ma mantenendo una certa velocità risulta essere "Broken stars".

I ritmi da semi-ballata di "American dream" e "I knew i couldn't trust you" segnano uno stop deciso, ma poi si riparte con l'arrembante e violenta "Born dead" con la partecipazioni alle urla di Scott Wyde ex Comeback Kid. Abbastanza curiosa invece risulta essere la title-track caratterizzata da parti di dialogo che adornano la composizione, che si conclude con una serie di cori prolungati.

Quest'ultima contrasta con "The arsionist" il pezzo più duro del platter, con riff metallici e un breakdown caotico. Tuttavia coinvolgono maggiormente la splendida melodia di "You're all i have" su cui fa leva un refrain immediato e i chorus di "A hero loses everyday".                                                                                            Mentre "We are not the world" rientra nei classici della band. Alla semi-acustica ballad "The end" con i suoi duetti tra Shane e la splendida interpretazione della singer Lights spetta il compito di chiudere l'opus.

L'unico appunto che mi sento di fare alla band, riguarda il lato melodico e la costruzione di quest'ultimo. In quanto certe scelte melodiche comunque in pochi pezzi risultano essere un po' troppo plastiche e manieristiche. Buona la prova di tutta la band e del frontman che adesso può maggiormente sfruttare più che in passato il suo bel timbro per le aperture in screaming e delle ritmiche variegate di Paul Koehler dietro le pelli.

Globalmente un buon comeback per i canadesi Silverstein che riescono a confermarsi nel gotha delle band emocore odierne. Tre stellette e mezzo elevate a quattro tutte meritate.

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