A distanza di qualche mese dall'ep "Transitions" che aveva smorzato le attese, esce "Rescue" quinto studio-album e primo sotto l'egidia della Hopelesse record.

Come si poteva già intravedere dall'ep questo nuovo capitolo discografico dei cinque canadesi non porta grosse novità sul tavolo, eppure è una botta di adrenalina, che riesce a sorprendere pur variando poco rispetto al passato.

I Silverstein sono sopratutto "Discovering The Waterfront", il loro miglior disco, probabilmente ancora insuperabile, a cui era seguito uno scialbo e anche abbastanza commerciale "Arrivals & Departures" e un buon disco che li riportava su buoni livelli come "A Shipwreck In The Sand".

Tuttavia quel disco pur avendo imparato la lezione dagli errori passati ed essendo godibile non riusciva a ricreare quelle atmosfere e quel sound che avevano reso magico il secondo disco, mancava ancora qualcosa. Quel surplus che invece troviamo in "Rescue", vero successore in tutto per tutto di "Discovering The Waterfront".

Dicevamo che formalmente non è cambiato poi molto, ma è nella sostanza che si nota come l'ensemble canadese stavolta abbia fatto tutto alla perfezione, lavorando con cura con fare artiginiale e manufatturiero (merito anche dell'etichetta?) una materia scottante come quella dell'emo post-hardcore.

Basta premere il tasto play e farsi trasportare con la testa e il cuore dalle iniziali "Medication" (che mette in mostra subito una buona aggressività con i suoi refrain sporchi) - "Sacrifice" - "Forget Your Heart" (che si segnala per ottime e affascinanti linee melodiche e un bel breakdown) e "Intervention" per capire i miglioramenti e i perfezionamenti fatti sia a livello di produzione, stavolta meno patinata che in precedenza, con dei suoni meno ampollosi e qui credo il cambio di etichetta abbia giovato, sia a livello di canzoni, con una più bella dell'altra, tra cui ci sarebbe l'imbarazzo della scelta per quale inserire in un futuro e papabile greatest hits.

Certo anche "A Shipwreck In The Sand" aveva ottimi pezzi presi singolarmente, ma dall'altro lato ne aveva qualcuno un po' banale che alla lunga annoiava, qui invece abbiamo una tracklist compatta e quadrata senza nessun calo di tensione.

Apprezzabile anche un leggero appesantimento del sound che si evince da pezzi quali "Intervention" (qui il bel riffone principale e la struttura ricorda qualcosa degli As I Lay Dying) e "The Artist", sospese tra furiose ritmiche hardcore (in realtà presenti più che in passato lunghi tutti i solchi del platter) e rallentamenti che si avvicinano al metalcore tra le composizioni più hard oriented che abbiano mai composto con notevoli breakdown strappa corde e screaming sentiti, con uno Shane Told sempre protagonista della scena e persino migliorato, bravo nell'alternare una voce dall'impostazione pulita e semplice contrapposta a intense e furiose parti urlate.

C'è meno spazio che in passato per facili motivetti, l'unica concessione potrebbe essere la più melodica "Replace You" una sorta di My Heroine pt.2.

Bene il lavoro dei due chitarristi che si evince dalle linee più dilatate di "Good Luck With Your Lives" in cui si crea un atmosfera un po' fosca e di attesa e della finale "In Memory Of...", peccato in quest'ultima i ricami chitarristici vengano interrotti troppo presto.

Un disco vario che si fa sporcare anche dal punk melodico, con una simpatica canzone in linea con questo periodo tutto mare e sole come "Darling Harbour" (ripescata dal precedente ep al pari di "Sacrifice") e "Burning Hearts" che urla a pieni polmoni hardcore melodico West-Coast.

Da segnalare infine due collaborazioni: quella di Brendan Murphy dei Counterparts in "The Artist" e di Anthony Raneri dei Bayside in "Texas Mickey".

Una piacevole sorpresa anche per il sottoscritto, e per tutti quelli che da tempo aspettavano il vero successore di DTW. Il vento è dalla loro parte.

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