Visto che sono in un periodo prolifico e ho voglia di condividere conoscenza, ho deciso di parlarvi di un alfabeto musicale che, sono sicuro, nessuno di voi conosce. E se qualcuno lo conoscesse non potrei che esserne ben lieto. A ruota, dopo una personale visione della bossanova stimolata dai migliori artisti che l'hanno interpretata, ho deciso di restare in Sud America per celebrare il genere musicale che più mi aggrada a quelle latitudini: la genuina musica llanera venezolana, quella che si potrebbe comodamente definire il country del Venezuela,  ben lungi, comunque, dalla tradizione yankee.

Andiamo con ordine e partiamo da una dovuta introduzione che se volete potete zompare per passare al capoverso successivo. Il Venezuela è un paese meraviglioso e ricco fortunatamente di contrasti non solo sociali. Un paese paradisiaco in cui c'è tutto, dalle vette rocciose e innevate delle ultime propagini delle Ande - 5.000 metri - al deserto, dal mare del caribe alla foresta amazzonica. Ci sono le città, metropolitane alla maniera sudamericana, completamente infestate di alta cultura e bassifondi, ci sono le cittadine più tranquille e i paeselli come i nostri, dormienti e caratteristici perché la gente ha la pelle quasi rosso carbone, essiccata dal sole. È qui che il Venezuela diventa più vero e meno statunitense. Il cuore del paese, comunque, presenta gli aspetti naturalistici meno conosciuti e la popolazione civilizzata alla nostra maniera (esistono anche gli indios lì) più autentica e sincera che ci sia laggiù. In questa parte di paese, denominata los llanos, ci sono ampie distese pianeggianti di nulla dove brucano l'erba vacche magre e vacche grasse, seguite a vista d'occhio da cani gracili e vispi e uomini vestiti in camiciona di flanella, cappellone da cow boy e jeans quando possibile. Questa parte di Venezuela ricca di ranch, che è quella che conosce di meno la cattiveria e l'arroganza delle aree più sviluppate del paese, è quella dove è nata la musica di cui vi sto per parlare.

Simon Diaz, venerato in patria da come Tio Simon (zio Simone), è una celebrità in Venezuela, un papà per tutto il popolo che lo adora letteralmente. Quelli che non se lo cagano sono i giovani borghesucoli che ritengono il suo genere di musica antiquato, ne parlano quasi vergognandosene. Ed è proprio per questo che ho deciso di addentrarmi nei sereni e serafici llanos per capirci qualcosa in più.

La musica llanera venezuelana ha trovato il suo massimo esponente proprio in quest'uomo, capace di raccogliere brandelli di una tradizione di tonadas che non aveva né futuro né punti di contatto con il resto del mondo, ricucirli e farne un genere musicale completo e di carattere nazionale, esportabile al punto che nomi tipo Almodovar e Caetano Veloso hanno utilizzato suoi pezzi. Hanno avuto l'onore di dividere il palco con lui personaggi del rango di Placido Domingo. I Gipsy Kings hanno fatto i guappi con "Bamboleo", pezzo originale e completamente diverso del Tio.

Oggi festeggia più di 60 anni di carriera, da uomo riuscito e soddisfatto, avendo centrato il bersaglio anche negli U.S.A. dove viene ben introdotto da questa raccolta Mis canciones in cui fanno bella mostra di sé i suoi principali successi.

Vediamoli, per quanto possibile, al microscopio ad iniziare dai contenuti. La musica llanera di Simon Diaz (che sarebbe come dire, quella di tutto il genere che comunque conta diversi altri autori acclamati) è musica popolare perché fatta dal popolo. Gli argomenti sono arcaici e legati al mondo pastorale dei tropici (difficile a credersi che ce ne sia uno lì): il furto di una vacca prodigiosa, il decesso di un caro, l'amore - visto sempre in chiave stilnovista o, comunque, d'altri tempi - per la contadinella raggiante di turno. Onestà dei sentimenti e purezza d'intenti sono i presupposti di ogni composizione testuale llanera. Mi verrebbe da parlare di serenate veloci e meno veloci, come le avrebbero fatte agli inizi del secolo scorso i nostri bisnonni, cantate generalmente da una voce monocorde e impettita di uomo, dai toni alti e secchi, pieni di sé e cantilenante. Per cercare appigli descrittivi utili a farvi capire, è un po' come quando il gallo cedrone canta la sua potestà nel gallinaio. C'è una questione antropologica, immagino, legata a tutto ciò. Probabilmente si tratta di un modo di esternare i propri sentimenti rispetto a fatti importanti della vita, in maniera recitata e mascherata. Si tratta sicuramente di sentimenti difficili da esprimere altrimenti per i timidi abitanti degli llanos. Temi e musiche sono di natura bucolica, in quanto canti di pastori distanti chilometri e secoli, ma non devono far pensare a un genere musicale vecchio e già sepolto. Anzi! Simon Diaz ce lo rende in tutta la sua sana odierna musicalità impreziosita da strumenti che dalle parti nostre si sono visti poche volte, se si sono visti: la cuatro (chitarra andina a quattro corde), arpe locali, basso/mandolino, percussioni di ogni forma e genere. Baldanzosa e tracotante questa musica, che con Diaz ha perso le ruvidità dell'improvvisazione per diventare prodotto musicale, può essere vista e definita come ideale punto d'incontro tra la musica delle Ande e quella salsera: suoni della cordigliera, incedere ballereccio del caribe.

Una musica baciata dalla luna e dal sole, di stampo chiaramente latino, protagonista delle festività primaverili di un paese che si raccoglie negli llanos per mangiare bisteccone, bere birra e scatenarsi in balli primordiali e molto partecipati.

Mis canciones è una felice e riuscita raccolta, c'è tutto quello che si deve sapere e sentire di questo genere musicale. Non posso prescindere dal valutarla con 5 stelle. Il giudizio si abbasserebbe inesorabilmente su opere singole perché in fondo la solfa è sempre quella: musica che rischia di ripetersi fin troppo e storie di vacche altrui di cui prima o poi ti stanchi. Ma resta la bontà di una maniera ancestrale di fare musica che incuriosisce e apre i confini di una recondita parte di mondo, dove si vive in maniera semplice e trasparente di ciò che la natura offre, in una simbiosi uomo - animali - ambiente ben raffigurata dall'amalgama degli strumenti che vanno seguendo la comune percezione del tempo da quelle parti, legata all'andamento delle stagioni: a volte si balla euforici, a volte si canta solitari.

Gloria al maestro Simon Diaz, nobile interprete di un genere che altrimenti sarebbe andato perduto. Cantore e vox populi, strimpellando questi che con una prova d'equilibrismo verbalfolk potrebbero esser considerati alla stregua di strimpelli romani, ha portato coraggiosamente avanti la sua idea, arrivando anche a scrivere testi patriottistici ben distanti dal nazionalismo (attenzione!).

Tra i brani da ricordare ne menziono due: la a me carissima "Mi querencia" e "Caballo viejo", cavallo (appunto!) di battaglia storico del nostro interprete.

Vivamente consigliato a chi apprezza le musiche dal mondo.

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