"Reel To Real... Fact To Fact..."
 
Dedicata a chi crede che i Simple Minds abbiano dato il meglio di sè solo in veste di (magnifici) alfieri di elettro-pop cristallino periodo New Gold Dream / Sparkle In The Rain. O epici trascinatori di etereo rock da stadio e pezzi di protesta periodo Once Upon A Time / Street Fighting Years.
 
Nei dieci anni che separano "Changeling" da "Belfast Child" c'è uno degli abissi più affascinanti della storia della moderna musica pop. Ovvero la costruzione in diretta di un gruppo, il grande fratello di una evoluzione o per altri il documentario di una de-evoluzione. Sicuramente pochi gruppi sono passati da un ambiente musicale accostabile ai Devo a un altro accostabile agli U2. Gustosi misteri di uno dei gruppi più atipici degli ultimi decenni. Come un mistero è l'incredibile forza di volontà e di esperimento che può portare una band a pubblicare a poco più di sei mesi di distanza dalla propria opera prima, Life In A Day, lp apprezzabile ma tuttavia catalogabile in un modesto art-rock da birreria di Glasgow, scimmiottante Bowie, Roxy Music e affini, a questo Reel To Real Cacophony. L'"album blu" dei Simple Minds, in quel 1979 denso di cataclismi. Un 1979 in cui è difficile concepire un disco senza venire intimiditi dalle mille innovazioni, dai più grandi gruppi che si alternano nel ruolo di auriga dell'anno. Meglio, per far due nomi, i Wire, i Clash o i P.I.L.? Joy Division o Pop Group? Nessuno aveva bisogno dei Simple Minds, nessuno aveva bisogno di un'opera oscura da un gruppo oscuro. E invece è proprio questo che arriverà, un circo cacofonico di sensazioni, poesie post-adolescenziali, tappeti sonori monumentali e piccoli scherzi elettronici. Jim Kerr e soci ancora non sanno in che direzione andare, e così sarà per tutti i primi quattro anni di attività del gruppo, in cui verranno sfornati incredibilmente cinque dischi, uno un passo diverso dall'altro, ognuno una faccia e una sfumatura diversa (e quasi sempre interessante). Ed è da Reel To Real che parte questa necessità di mettere su disco i propri cromosomi, la sceltà di sbandierare tutte le possibili mutazioni genetiche della band, in attesa di poter poi scegliere con più facilità la propria strada personale. Quindi, è necessario chiarirlo, qui i Simple Minds non hanno ancora trovato un proprio trademark sound, lo stanno cercando. E per farlo ci portano un album di foto, di suoni ascoltati dagli altri gruppi e immagazzinati a modo loro, di desideri, ci fanno vedere quel che vorrebbero fare da grandi. Reel To Real è il DNA dei Simple Minds.

Nessun pezzo privilegia dell'immaculata produzione che avranno "Promise You A Miracle" o "Alive & Kicking", anzi tutto sembra un ritaglio, un abbozzo, un'intuizione appuntata su un block-notes. Ciò che lascia sorpresi è quanto queste intuizioni siano ottime se non addirittura geniali. Viene stravolto il punk, l'art-progressive ereditato da Eno & compagni, le ipnotiche tastiere dei sixties losangelini, ma viene data anche una forma di gemma pop da tre minuti a pezzi mutuati a piene mani da John Lydon o tra i solchi di Unknown Pleasures. La new-wave in formato per bambini, ecco cos'è Reel To Real. Ingiusto è arrivarci -come è successo a me- dopo aver ascoltato 154 o Seventeen Seconds, sarebbe stato divertente imbattermi in questo giocattolone da vero neofita. Perché qui si può trovare una vera manifattura del suono, un Kid A involontario, che non ha paura di sbagliare perché non ha niente da perdere, non ha fans da rispettare, ossequiare, assecondare. Per questo l'album blu è il dark-pop più divertente che abbia mai sentito, una versione spensierata di In The Flat Field con schiamazzi, entusiasmo, giochi coi registratori, i sintetizzatori usati in modo così naif da risultare irresistibili. Veniamo calati in atmosfera positiva ma tenebrosa, dove ci innamoriamo dei dubbi, elettrizzati dal potere di una musica d'equipe, dove non esiste ancora un leader, uno strumento protagonista, predominante. Qualcuno direbbe per mancanza di chiarezza o definizione sonora. Io direi piuttosto per grande solidarietà tra i membri, resi un tutt'uno fluido, coesivo e accattivante come riusciurà nello stesso ambito solo agli ultimi Japan e a pochi altri luminari del periodo. E dopo questi concisi quaranta minuti, persino divisi coerentemente in due parti, in cui si mischiano con disinvoltura pezzi strumentali (tra i quali spiccano l'inquieta "Veldt", guidata da un basso piglia-tutto, e la deliziosa "Theme For A Film", l'incontro perfetto tra Second Edition e il Tempo delle Mele), trionfali singoli immaginari ("Premonition", "Calling Your Name" gli esempi più lampanti) e un continuo avvicendarsi di sorprese e difetti, può darsi che ne vorrete di più.

Ma il bello sta proprio in questo, Reel To Real è solo un biglietto da visita, niente di più, quasi un demo presentativo. Ma a grandissimi livelli. Altri sono i dischi migliori o almeno più rappresentativi dei Simple Minds, ma l'"album blu", che per qualcun'altro potrebbe essere il punto di arrivo di una carriera, resta il mio preferito.

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