Ci sono quei gruppi con i quali cresci, sono i primi che ascolti quando sei uno sbarbatello e non conosci ancora la musica. E può darsi che diventando grande elevi la tua conoscenza musicale, prendendo strade differenti, sciegliendo quei generi che più si confanno alla tua personalità. Ma ti resta sempre, in un angolo della tua memoria, il pensiero che quella canzone, quel gruppo non era poi così male, nonostante quello che dicono i più.

I Simply Red sono stati per me un esempio di questo meccanismo, un gruppo che, con il terzo album - datato 1989 -, raggiunse l'apice del successo.

L'lp prende dunque forma con la consapevolezza di essersi affermati all'attenzione generale, dopo il fantastico esordio, seguito dalle hit da classifica del secodo lavoro. Hucknall e compagni possono così comporre in un clima di relativa serenità, che si manifesta nell'andamento tendenzialmente lento - romantico delle canzoni. Le sonorità respirano placidamente su un tappeto di morbido velluto, ed il soul da aggressivo si fa melodico, aggraziato. Le tastiere, guidate magistralmente da McIntyre, assurgono allora a fulcro per ogni canzone, per linee melodiche che hanno il pregio di non scivolare mai nel banale. Hucknall sa benissimo come ricavare il meglio da ogni melodia, e le sue prestazioni vocali raggiungono picchi elevatissimi (confrontare con i lavori successivi).

If you don't know me by now ne è un chiaro esempio: le armonie vocali che Mick e Fritz compongono nel bridge ricordano - anche se il paragone può sembrare azzardato - quelle di John e Paul in If I fell, anno 1964. La canzone, vero successo internazionale di quell'anno, rispecchia altresì un'altra caratteristica del gruppo. Il quale non esita a saccheggiare composizioni altrui (It's only love, oltre alla già citata If you don't know me by now, del duo di autori soul Gamble e Huff); e bada di inserire in cabina di pilotaggio anche l'esperto "guru" Lamont Dozier, scuola Motown, che contribuisce con Hucknall firmando la mirabile You've got it (uno dei picchi dell'intera discografia) e la simil - protesta di Turn it up. Per inciso, i due brani meglio riusciti del disco.
L'impianto strumentale è ben sorretto da Chris Joyce alla batteria e da un attivissimo Tony Bowers al basso; e se in qualche occasione Hucknall pecca di autocompiacimento (She'll have to go), provvede la poderosa sezione fiati, capitanata dall'altro "rosso" Tim Kellet - e coadiuvata da Ian Kirkham - a riportarlo sulla terra. Va dunque da sè che le chitarre non possono ricoprire che un ruolo marginale - e d'altronde Heitor T. Pereira paga lo scotto dell'ambientamento, dopo l'uscita di Sylvan.

La produzione, affidata a Stewart Levine, contribuì a far balzare l'album in testa alle classifiche dell'epoca. E ciò simboleggiò anche una sorta di canto del cigno, un'istantanea di ciò che poteva essere e non è mai stato. Da qui fu oltrepassato il punto di non ritorno, e da allora i componenti non furono più "semplicemente rossi". I pezzi del meraviglioso castello che aveveno faticosamente costruito nell'arco di quattro anni - dall'85 al '89 - furono spazzati via dal loro carismatico leader. Se ne andarono tutti, uno dopo l'altro: quanto fosse stata lungimirante quella scelta lo avrebbero dimostrato gli anni a venire.

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