L'excursus artistico di Sinéad O'Connor è sempre stato caratterizzato da inaspettate scelte totalmente anticommerciali, improbabili ed inspiegabili cambi stilistici che andavano di pari passo all'instabilità del suo controverso personaggio.

Così dopo due dischi di cover e tradizionali irlandesi e giamaicani (e dopo vari annunci di ritiro dalle scene) eccola tornare con un doppio album di inediti (più una manciata di cover) intitolato Theology; in realtà però l'album vero e proprio è solo uno, i due dischi presentano infatti gli stessi brani, il primo disco sottotitolato Dublin Sessions in versione quasi demo, solo voce e chitarra acustica, il secondo London Sessions con arrangiamenti completi e più elettrici. Di seguito la descrizione di London Sessions, più idoneo probabilmente per cogliere le differenze tra i vari pezzi.
L'ultimo suo album di inediti, Faith And Courage, risaliva al 2000 e come quel disco (e i successivi album di cover) anche questo Theology ingloba sonorità e linee melodiche tipiche del reggae (come nella piacevole 33) che vanno ad affiancarsi alle ritmiche hip-hop con cui la O'Connor flirta da sempre (le oscure e affascinanti Watcher Of Men e Whomsoever Dwells arricchite con archi, discendenti da quella Famine inserita nel bellissimo e sottovalutato Universal Mother del 1994); a queste si affinaca stilisticamente anche una particolare cover di We People Who Were Darker Than Blue di Cutis Mayfield.

Se Faith And Courage era però un album quasi ruffiano che cercava a tutti i costi (fallendo) quella hit radiofonica che la rilanciasse (era prodotto da Dave Stewart, Wycleaf Jean, Brian Eno e Sly And Robbie), stavolta lei ha preferito dedicarsi a melodie più introverse e intimiste che innegabilmente richiedono più ascolti per essere afferrate... anche la sua voce, sempre bellissima, ormai ha rinunciato da tempo ai quei famosi acuti "spezzati" e rabbiosi a favore di un cantato più sussurrato e tremolante che riesce ugualmente ad emozionare in pezzi come l'iniziale ballata Something Beautiful, la delicata Dark I Am yet Lovely e in una quasi radiofonica cover di I Don't Know How To Love Him (da Jesus Christ Superstar). Quando poi si butta in un paio di ballate up-tempo semi acustiche (The Glory Of Jah e Out Of The Depths) sembra davvero di risentire la O'Connor più folk dei bei tempi andati.

Il disco acustico, Dublin Sessions, è ovviamente molto più omogeneo e lento, nel quale i pezzi più ritmici ne escono fuori trasformati ma non meno belli (con l'eccezione forse della cover di Mayfield che perde qualcosa)... un'altra prospettiva delle stesse canzoni che mette in risalto le capacità interpretative della O'Connor e soprattutto dei bellissimi e profondi testi ispirati all'Antico Testamento e alla figura di Dio mistificata (secondo l'autrice) dalle varie interpretazioni religiose.

In definitiva trovo questo Theology un bel disco ispirato e profondo, delicato ma anche poco appariscente e sconsigliato quindi a coloro che ricercano (se mai ci siano ancora) una nuova Nothing Compares 2U o un'altra Mandinka; un album che rappresenta però perfettamente il suo percorso musicale (e spirituale) degli ultimi 12 anni.

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