Ho dato in pasto il brano Curse, Curse, Curse ad un gruppo di amici che non andava cercando altro. Mi sono chiesto se, spogliato da riverberi e voci da fantasma, ne fosse venuto fuori un gran pezzo street rock. E così è stato. Sembravano gli L.A. Guns degli esordi con una canzone che nei primi lavori ci poteva stare tutta. Il brano è qui, considerate un tempo di base più veloce e capirete che non sto dicendo poi una cazzata così pelosa. Ora, non voglio spostare il discorso su un terreno effettivamente troppo lontano. Però volevo arrivare a dire che quando si fanno esperimenti per capire perché attorno ad Anton Newcombe orbitino sempre formazioni interessanti e schifosamente, dannatamente, maledettamente, banalmente fighe, si arriva sempre ad una conclusione. Lui ce l'ha lungo, l'orecchio

Odio, cazzo se li odio, quelli che scrivono recensioni-ricetta tipo metti 1/4 di Pink Floyd, aggiungi 77/23 degli Stooges, 2 parti di Tony Tammaro e poi agitata tutto, avrai il capolavoro. Magari fosse così semplice. Attorno a Newcombe gravitano esseri umani che ci sanno fare con la musica perché hanno talento puro, innanzitutto, e perché sanno affondare il mestolo nei calderoni del latte fresco e ancora grasso di tanti generi. Hanno un perché tutti questi ragazzi, non lasciano mai indifferenti. Penso agli Asteoid #4 che dai Floyd ai Suede agli anni degli acidi spaziano nella pace dei sensi con grande abilità. E penso ai nostri che, invece, sono più cattivi e sembrano quegli smilzi di Millwall, eroinomani anni '80, fieri ostentatori di un manuale di regole non scritte su come ci si deve comportare quando stai acquistando rrrobba in periferia. E forse qualcosa di più. Come nei Brian Jonestown Massacre e nei pulcini riscaldati da cotanta chioccia, anche per i Singapore Sling gli intarsi, le rifiniture, i lavorii di cesello e di fino, i trasalimenti lievi, le corde sfiorate con delicatezza prima della tormenta di ferraglia sono tanti e notevoli, lubrificati a dovere per schizzare tutti insieme in un grande orgasmo noise /shoegaze. Questi ragazzi provengono dall'Islanda e ne rappresentano il lato più trafelato, sudato, astinente: quello delle polverine chimiche che un grammo ti fa sudare un litro di grasso.

I Singapore Sling in opposizione ai paesaggi sonori metafisici ritratti dai Sigur Ros o dai Mùm. E mi piace questa cosa. Mi piace la sensazione di arsura, di fiamma ossidrica a fior di pelle che procura la loro musica. Si muovono tranquilli e dannati come se alle spalle avessero la Velvet Undergound experience, selvaggi, funambolici e slabbrati come in alcune presunzioni dei Black Rebel Motorcycle Club. Soprattutto, i Singapore Sling devono aver avuto molti rapporti sessuali per via auricolare con Psychocandy e i primi lavori dei Sonic Youth. Perché suonano influenzati a più non posso da quelle ambientazioni caustiche, dove non sai se chi canta è morto o meno, dove non sai se a fare tanto rumore è la gru che solleva carcasse rugginose di automobili o una semplice chitarra attaccata a mille pedali che sfondano.

Classe, cattiveria, rigor mortis e furia in un album che alla new wave, al post punk, al gothic rock, al noise, allo shogaze e alla psichedelia deve davvero tutto. Forse anche a qualche puttana nelle periferie di Glasgow. O Reyikjavik, fate come vi pare.

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