Ci sono film pesanti e poi c'è Keiko Desu Kedo di Sion Sono che è come un sacco di cemento armato che ti viene lanciato addosso da tre metri d'altezza nel tentativo di ucciderti. Parlarne è facilissimo e allo stesso tempo abbastanza difficile: tanto per cominciare è la prima rece che lascio senza voto perché i criteri di valutazione convenzionali sono fuori luogo.
Protagonista di questo lavoro sperimentale di Sion Sono non è la giovane e apatica Keiko ma un dannato e ossessivo quadrante dell'orologio che sembra perseguitarci come un pazzo con il rasoio in mano. Ci costringe ad andare avanti come fa Keiko nelle lunghe e interminabili carrellate della parte conclusiva, ma verso dove? E perché? Il film è quanto di più cerebrale si possa concepire, con primi piani statici lunghissimi sul volto della protagonista che mostrano una monotonia sconfinata di giorni che scorrono senza che accada nulla di particolare. La vita scivola via dalle sue mani in un esistenza breve e interminabile al contempo, proprio come il film: dura solo un ora che tuttavia può sembrare un eternità. Mi sono trovato di fronte all'essenza stessa dell'antinarrazione: splendida fotografia e profondo minimalismo che si fondono insieme. C'è lo spettatore, c'è Keiko, le ossa di suo padre morto di cancro e la casa in cui vive dall'aspetto di una prigione: la versione ingrandita della brocca d'acqua in cui dimorano i suoi tre pesci rossi.
Un opera ineffabile sullo scorrere del tempo, come se il tutto fosse una specie di memento mori. A tratti sembra di osservare la Maddalena penitente di G. De La Tour che si accontenta della luce fioca di una candela che si consuma non aspettandosi dalla vita più niente di particolare. Persino gli unici momenti buffi composti dai siparietti delle news settimanali sui fatti rilevanti della giornata di Keiko (dove lei si presenta con strane parrucche in sede di annunciatrice) hanno un sapore tragico: sono racconti di pochi e piccoli eventi all'apparenza insignificanti, eppure gli unici opachi segni di vita che ci giungono dal mondo esterno come dei riflessi su schegge di vetro. Conclude i notiziari facendo ascoltare una segreteria sempre priva di messaggi dove si sente solo la sua stessa voce prima del bip. E alla fine il silenzio... un triste mutismo in cui lei non trova più niente da dire. Niente all'infuori di noi stessi in balia di un quadrante, attendendo passivamente che inizi il prossimo giro. Lei aspetta il suo compleanno, questo giunge, non c'è nessuna festa, non succede nulla... c'è solo la consapevolezza di essere una anno più vecchia prima. Ed eccola congedarsi intonando per un ultima volta la sua cantilena dove conta in giapponese fino a sessanta scandendo in tal modo nella mente dello spettatore i secondi uno dietro l'altro prima di svanire lentamente in una strada al crepuscolo.
Sembra che abbia infranto la regola di raccontare la trama ma in verità non l'ho fatto perché il film non ha una trama. Lo sconsiglio alla maggior parte di voi visto che potrebbe apparirvi noiosissimo: non solo è adatto a pochi ma in più è anche abbastanza difficile da reperire. Gli si può assegnare una stella di giudizio o dargliene cinque: entrambi i voti sarebbero privi di senso. Ci sono cose che vanno aldilà dei giudizi e delle valutazioni e quello che può suscitare questo film è molto soggettivo. Può condurre a riflessioni intimistiche o non comunicare nulla; può lasciare nell'animo dello spettatore uno strano vuoto o restare scolpito nei pensieri come un quadro particolarmente memorabile.
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