Esistono infiniti dubbi sulla nostra esistenza, possiamo avere una parvenza della nostra attuale immagine, ritenerci forti e soavi ma potrebbe essere solo il riflesso malato della nostra maschera in un lago scuro e salmastro. Sai cosa penso di te, esattamente l'opposto di quello che credi da una vita.
Cosa ci fa un druido a scrivere una narrazione su Debaser. Non trovo traccia del mio Taranis, Qui.
Cosa ci fa The Donald, assistere passivo e riflessivo, al lancio di folgore e luce dello Space X
Cosa ci fa Sion Sono, partorito dalla follia progenica ed algoritmica di Netflix, dopo una notte acida e lisergica, nel palinsesto piu' nerd e politicamente corretto /corrotto del main- streaming. Come si narra in gergo, una fantomatica e sovversiva ONE SHOT. In un colpo solo l'obbiettivo è far saltare il banco, passare osservati e possibilmente inquietati dai nuovi incubi della società civile. Nessun esperimento, nessun dogma, nessuna rappresentazione del proprio vissuto cinematico, bignamizzato in ossequio all'algoritmo netflixiano, no solo un altro ennesimo calcio sullo stomaco a farti rantolare inerte un'altra volta, sempre sulla stessa lurida latrina e insaguinato dal midollo.
Esistono infiniti dubbi sul nostro essere e sulle nostre relazioni e qui entra in azione , nel vivo della riflessione piu' pacata, il nostro autore , con un'opera spiazzante assolutamente come le altre precedenti, intrisecamente indie in senso stretto ed autonoma da qualsiasi imposizione esterna, qui dimora solo il genio ma anche la follia di Sono. Hai del talento, ma perche' scrivi delle recensioni su Debaser? Prendevi forse dei brutti voti a scuola? A casa quando tornavi a casa la mamma non ti degnava delle dovute attenzioni? No ...qui purtroppo non c'e' niente di tutto questo ...
Si puo' descrivere una intera generazione tramite una precisa identificazione nella civiltà del dolore? Sono ci riesce a modo suo, con l'enfasi che lo contraddistingue e alternando colpi di pura follia ad un virtuosismo registico di cui e' supremo padrone ma non succube. Nella volgarità che caratterizza l'estetica di Sono si distinguono le sue alte intuizioni registiche, che collocano il nostro, all'interno del suo timbro sovversivo, nell' Olimpo dei Grandi. Utilizzo delle lenti distorte in momenti intimi di Mitsuko, le note di Pachelbel e continui richiami di geniale metacinema ed un finale onirico che chiude come un cerchio magico tutta l'opera.
Il personaggio principale, Murata, è l'emblema della società capitalistica occidentale, avanti di eta' rispetto ai suoi innocenti compagni ma seducente e perverso, un riflesso malato di una luce conturbante e pericolosa. Voi potete rimanere imparziali, di fronte a questo caos, a questa preghiera al dolore e al suicidio?
Avete una via di fuga? Anche perchè, evitando di spoilerare pericolosamente, qui pare proprio non ci sia una via di fuga, non un finale magico come quello di Love Exposure, ma un ritorno o la messinscena di questo, alla pace di quel prologo fantasmatico. Alla fiine della corsa restano in vita solo i predatori piu' accecati dal dolore dell'amore infranto e le loro viittime prescelte, che plagiate dalla seduzione e dal miraggio del loro maestro, hanno trovato la perdizione che meritano.
Nei titoli di coda (in effetti la storia riprende un fatto di cronaca realmente accaduto in Giappone negli anni 70) arriva la didascalia con i fatti reali, con la perdizione della trama che paradossalmente diventa ancora piu' astratta, un momento finale piu' alto, quasi religioso, che si contrappone agli urli disperati e precedenti, che fa sparire tutto il film sotto una nuvola di zolfo e tra le fronde della foresta dell'amore, in una perenne dialettica tra Peccato e Bellezza.
Esistono infiniti dubbi sulla nostra esistenza, possiamo avere una parvenza della nostra attuale immagine, ritenerci forti e soavi ma potrebbe essere solo il riflesso malato della nostra maschera in un lago scuro e salmastro. Sai cosa penso di te, esattamente l'opposto di quello che credi da una vita. Non so se possibile, mi piacerebbe non vedere stellette, adoro piuttosto il vuoto assoluto, al limite, se il verbo scolastico non si riesce proprio ad estirpare, mettete delle croci.
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