Appena un anno dopo il punk dalle nervature sinistre di "The Scream", Siouxsie e i tre Banshees danno alle stampe questo "Join Hands", uno dei lavori più controversi della loro carriera. Si tratta un album crudo, funereo, figlio tanto dell'urgenza del punk quanto di quell'inquietudine da mal de vivre che nel quartetto non è certo un vezzo, ma si esprime in suoni corrosivi e liriche simboliste che scavano nel profondo. Sette solchi (più il reperto d'epoca "The Lord's Prayer") taglienti come rasoi e soffocanti come catacombe,  il cui filo conduttore lirico è la morte, o meglio, il rituale funebre che la segue: croci, ghirlande di fiori, cadaveri all'obitorio in attesa di sepoltura, inumazioni premature... Si tratta però di simboli, dietro a quali si nascondono sentimenti più controversi, come la denuncia del potere che genera umiliazione o il senso di frustrazione e incomunicabilità tra gli uomini. Ma se le tematiche  si lasciano dipanare col tempo, i suoni arrivano con un'immediatezza abrasiva che disorienta:

"Poppy Day", preceduta da rintocchi di campane a morto, è una litania funebre fatta di chitarre monocordi e colpi secchi di batteria, due scarni minuti che sembrano quasi il prodotto di un soundcheck, ma che inevitabilmente lasciano il segno, diventando forse il manifesto programmatico di tutto il disco. Segue "Regal Zone", rabbiosa e convulsa, con il sax di McKay che sottolinea le parti strumentali. Il ritmo rallenta con "Placebo Effect", un brano che ricorda da vicino le parallela vicenda musicale dei  Joy Division, ma che attinge anche all'esperienza acida degli Stooges. "Icon" prende ancor più le distanze dal passato punk, snodando una ballad macabra, a tratti tribale, su cui la voce di Siouxsie si erge in una grande interpretazione. Le cadenze da rito pagano di "Premature Burial", evocativa e teatrale , si addirebbero invece ad uno spettacolo del Grand Guignol, e di certo consacrano Siouxsie ad indiscussa sacerdotessa dell'oltretomba. Apre il secondo lato la sbilenca "Playground Twist", scelta anche come singolo, un concentrato di tutti gli ingredienti precedenti con una drammaticità espressiva ancora da brividi teatrali. Il suono di un carillon fa poi da struttura portante alla ninna nanna- lamento di "Mother/Oh Mein Papa", l'unico momento di catarsi dell'album, un frammento onirico con l'incubo appostato dietro l'angolo. Ma è già tempo del finale, affidato alla lunga cavalcata espressionista di "The Lord's Prayer": si tratta di una registrazione live del primo brano eseguito su di un palco dal gruppo, che in pratica improvvisò selvaggiamente per quattordici minuti.  Una scelta sì di portata emblematica, ma che nei fatti finisce col privare l'album di una vera chiusura a tema, lasciandolo  per certi versi incompiuto.

Quando esce "Join Hands" è il 1979, e  mentre il punk si avvia ad un lento declino, tante idee nuove stanno affiorando nel panorama musicale. Questo album può dirsi ancora un prodotto del punk  in quanto istintivo, inquieto, scritto e composto quasi di getto, ma la musica prende nuove direzioni, più vicine , a posteriori, a quel filone gothic che di lì a poco prenderà il sopravvento.  "Join Hands" può essere proprio considerato uno tra i primi esempi di opera dark o gothic che dir si voglia, a tutt'oggi una delle più pure, grezze, selvagge e senza compromessi; vale a dire, il riflesso nello specchio dell'immagine conturbante, enigmatica e stregonesca dell'incredibile personaggio Siouxsie.

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