Peccato davvero che questo disco di addio di Siouxsie & The Banshees sia stato poco considerato al momento dell'uscita, forse perché il pubblico e la critica nel 1995 erano impegnati ad ascoltare generi musicali più alla moda o forse perché dopo gli ultimi album un po' opachi in pochi credevano ad un ritorno convincente dello storico gruppo londinese. Ed invece anche grazie all'illustre collaborazione dell'ex-Velvet Underground John Cale che ne produce alcuni brani, "The Rapture" è uno dei più bei dischi di congedo mai fatti da una band con quasi vent'anni di carriera alle spalle.
In questo album i Banshees riescono finalmente a reinventare il loro sound in maniera convinta e convincente, grazie all'adottamento di uno stile chitarristico più esile e minimale e all'accompagnamento discreto di strumenti a corda classici quali viola, violino e contrabbasso. La prima facciata è tutta all'insegna di un pop raffinato ed elegante come nel caso delle soavi "O Baby", "Sick Child" e "Forever", o della più energica e ritmata "Stargazer". Talvolta le musiche, leggere ma mai banali, contrastano con testi tutt'altro che allegri e con la nonchalance cinica ed un po' ironica con la quale la cantante li interpreta, come nel caso di "Tearing Apart" ("I think we all should die/ I think we’ re dead inside/ I know the purest rain/ Won't wash the bloody stain" ). "Not Forgotten" è invece l'unico brano che per cupezza può ricordare il dark del passato, anche se con un sound ben più levigato. Il brano di punta è però la title-track, autentico capolavoro che da solo vale l'acquisto del CD, forse il migliore dell’intera discografia del gruppo: stupenda rapsodia eterea di oltre undici minuti forte di una strepitosa performance vocale di Siouxsie, e resa ancor più suggestiva dalla produzione "da camera" di John Cale.
A conti fatti, quello che è il canto del cigno è anche uno dei lavori più riusciti di Siouxsie & The Banshees.
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