Le Dum Dum Girls mi hanno sempre suscitato non poca irritazione e antipatia, vuoi per la piattezza e l’insipidità della loro scrittura musicale e per le sonorità smaccatamente derivative e impersonali, vuoi per un atteggiamento non di rado indulgente alle più commerciali strategie di autopromozione. Di qui la mia sorpresa nello scoprirmi inaspettatamente catturato dalle note di quello che è a tutti gli effetti un progetto collaterale di una delle suddette girls, la batterista Sandra Vu.
Anche in Blood Tears la vena pop è in effetti prorompente e macroscopica, ma è gestita in modo da contribuire a plasmare una precisa identità musicale ed è affiancata ad un’antitetica tendenza alla sperimentazione di soluzioni meno scontate. Fin dai primi istanti di Counting Stars, inoltre, è chiaro che l’universo sonoro in cui si muove l’esordio delle SISU è quanto di più distante si possa immaginare dal garage-pop riverberato di marca sixties caratteristico delle Dum Dum Girls.
Ci troviamo infatti nei territori ben più cupi ed introversi della wave più oscura, quella che fa capo a Robert Smith e alla rivoluzione depressiva di Pornography. Su tutto prevale il pulsare insistente di bassi, batterie e drum machines, sommerso dai suggestivi paesaggi sognanti tratteggiati da tappeti di synth e riverberi finemente intessuti e percorsi da ghirigori elettronici e vocali. Siamo insomma dalle parti di Soft Moon, KVB, Tropic of Cancer, dell’ultima Tamaryn, dei primi Blouse e dei nostrani Be Forest, per fare qualche nome contemporaneo.
La tracklist spazia dalla preponderanza elettronica di pezzi come l’ipnotica Electronic (sic!) o l’atmosferica e minimalista Shotgun Running alla pura darkwave di Return the Favor, che sembra uscire direttamente dagli anni ottanta più ombrosi. All’anima pop e danzereccia di Cut Me Off fa da contraltare l’incedere sinistro e spettrale di Sharp Teeth, così come i ritmi tribali e ossessivi di Let Go smentiscono la disinvolta fluidità della precedente Sinking Feeling. La title track finale condivide con Harpoons l’alternanza e la combinazione di tetri pulviscoli elettronici e distese magnificenze synth, chiudendo le danze aperte da Counting Stars con i suoi laconici giri di basso e le sue improvvise esplosioni shoegaze.
Pur nella semplicità strutturale e nella ricerca della melodia che accomunano i suoi dieci brani, l’esordio di Sandra Vu si presenta dunque come un’opera fresca e personale, sicuramente di gran lunga più riuscita degli impacciati ripetuti tentativi che la vedono partecipare nel ruolo di batterista.
Carico i commenti... con calma