Nell'attuale edificio della Quantegy piantato in Alabama, nel 1943 si facevano nastri per l'esercito americano di stanza a Berlino in operazioni di intercettazione. Lo stesso Eisenhower ebbe di che congratularsi quando una delle traccie ne rivelò Hitler in sottofondo: stava cercando di spiegare che nel migliore dei casi erano tutti costretti a ricominciare daccapo. Ci fu una risata generale.

Sessanta anni e migliaia di guerre dopo, la Quantegy ne sta ora combattendo una interna: evitare di essere l'ultimo produttore di supporti analogici pronto alla chiusura. Per chi come me è un inguaribile nostalgico, è consigliata la visita al più grande museo di cassette del mondo (www.studio2.freeserve.co.uk) gestito da un anonimo benefattore: se avete un pezzo di ricordo piuttosto raro ve lo comprano pure. Qual'è il destino del supporto fisico e delle sue politiche di distribuzione? E quale sarà la musica del futuro? Il Pop di consumo o l'elettronica come in un incubo? Come capiremo dove finisce l'uomo e comincerà la macchina? Nel Regno Unito si vendono più campionatori che chitarre elettriche, e non è improbabile che qualcuno tornando dal futuro abbia già fatto sapere a questa specie di mafiosi che un bel giorno la chitarra scomparve del tutto. Che il nuovo John Lennon nel 2042 è un dj.

Intanto i Koopa sono diventati il primo gruppo senza contratto ad entrare nella Top100 inglese di tutti i tempi.
La verità è che quella classifica era la prima ad includere anche i downloads, cioè i parenti stretti dei Koopa, più gli amici e con ogni probabilità qualche amico degli amici più qualcuno passato per caso e spinto in mezzo; questo anche se la canzone non esiste in formato fisico.
Fino a solo un decennio fa era tutto completamente diverso: ogni operazione era tesa a spingere un singolo il più in alto possibile, nessun problema se lo stesso poi crollava di colpo - la prima settimana era tutto ciò necessario per la presentazione dell'album. Erano gli ultimi fuochi del grunge: entrava in uso l'espressione "Buying team", gente pagata per comprare dischi nel tentativo di spingere in alto le vendite immediate. Ma cambiare le charts ci dirà di più su noi stessi, e cioè che nessuno è destinato a cambiare. Ci dirà che la musica-non musica (cioè la quasi totalità) avrà vita ancora più lunga nelle classifiche dei più votati lavaggi del cervello; che dopo la scomparsa del vinile adesso faranno scomparire del tutto il formato fisico, aiutati da queste orde di giovani in connessione a tempo indeterminato come un lavoro all'ufficio del catasto. Impareranno a conoscere centinaia di titoli di musica ma non avranno nessuna idea su quale possa esserne il significato.

Storia lunga quella del trio (per un lungo periodo furono in cinque - ad ogni modo su questa cosa si capirà sempre poco) di Nottingham, i Six. By Seven. Tre dischi febbrili in rapida successione e crescente successo, l'ultimo sempre migliore del precedente e l'ultimo di tutti uno dei migliori della stagione ("The Way I Feel Today"). A quel punto (si era nel 2002), i Six. By Seven si siedono ad un tavolo e inspiegabilmente si fanno un paio delle mie domande. Probabilmente chiudono i pensieri con due risate a proposito di quell'irripetibile primo concerto, che come tutti sanno a differenza dell'amore è l'unica cosa che non si scorda mai, e sempre a differenza di quest'ultimo ne andrai comunque orgoglioso. I Six. By Seven avevano preparato una coraggiosa suite noise-psichedelica di sedici minuti, e tutto si può dire tranne che fu pavida: finirono la canzone sebbene i ventitrè spettatori avessero lasciato il Leicester's Charlotte da sette minuti e ventidue secondi. Ad ogni modo dopo quel gran trittico la casa discografica comincia a fare così pressione che venne un seguito, "04", come il quattro e come duemilaquattro, e fu qualcosa di francamente inascoltabile. Con l'anno 2005 arrivò invece la fine, che come tutti sanno a differenza dell'amore pare interminabile. I "Left Luggage at the Perivil Hotel" (prima live e poi con l'edizione in studio ambedue autoprodotte) vedono subito la luce, e si mangiano altri francamente molto inutili 30 euro. Se ancora eri vivo e non erano riusciti a ridurre anche te in miseria, seguiranno una mezza dozzina di singoli, un disco di rarità e b-sides e infine, nello spazio di meno di dodici mesi, "Artists, Cannibals, Poets, Thieves", che per un attimo mi faceva respirare: sono riuscito ad ignorarlo per ben tre mesi. Comunque sulla distanza è un buon disco.

Da quel giorno i Six. By Seven non distribuiscono più attraverso le politiche comuni. Per comprarti (sempre a parecchi euro, non è cambiato molto) il "Club Sandwich Perivil Hotel" (con molta probabilità registrato sempre allo stesso Hotel ma in un altro club interno), e questo altamente autobiografico "If Symtoms Persist Kill Your Doctor" uscito in questi giorni, bisogna avere una carta di credito, un sempre cospicuo conto in banca (in modo da poter sempre seguire le peripezie discografiche dei tuoi idoli) ed ordinarlo sul sito ufficiale. Tiratura limitata mai superiore alle 1000 copie, il chè per allungarti l'angoscia ti toglie anche la soddisfazione di mandarli a fanculo per i primi tre mesi. Il tempo stringe: il tempo sta cambiando.

I Six. By Seven suonano, in "If Symtoms Persist...", la solita convulsione mistica My Bloody Valentine-Stone Roses, col passare degli anni sempre più affine ai primi che non ai mancuniani, e soprattutto sempre più anarchica ed inascoltabile. Una psichedelia selvaggia e acida, un riff di chitarre sovrapposte come un muro (nell'iniziale "Nations" addirittura neanche si canta), che al termine di questi tre quarti d'ora suona ancora come una grande risata, la stessa sotto cui probabilmente le case discografiche li hanno seppelliti.

Una risata suonata da un pugno di musicisti di enorme talento, lo stesso motivo per il quale sono uno tra i mille sfigati che ha ordinato una "copia lussuosa in cartonato edizione limitatissima" e si ritrova due fogli vuoti e 8 titoli di canzoni su plastica per l'equivalente della bolletta del gas. Non una pagina sul web, non una recensione, da nessuna parte due parole su questi tre quarti d'ora di lamenti shoegaze, nemmeno una copertina da prendere a prestito se non si ha lo scanner.

E sulla distanza in certi frangenti sembra persino un bel disco.

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