Dall'incontro di due star del Death Metal americano, Chris Barnes, rinomato vocalist dei Cannibal Corpse ed Allen West, lead guitar degli Obituary, nascono i Six Feet Under. Barnes, insoddisfatto della musica suonata nel suo gruppo d'origine, probabilmente troppo veloce per la sua indole, dopo aver partecipato al demotape "Created To Kill" (preludio all'album "Vile"), lascia la band che gli aveva dato notorietà ed unisce le sue forze ad Allen West. Come bassista viene arruolato Terry Butler, reduce dalla delusione con i Massacre, e come drummer tale Greg Gall, ex Last Rites.

Il quartetto così allestito entra in scena nel 1995 con questo album "Haunted" cercando di schiantare la concorrenza nel panorama Death Metal, ma anzichè puntare sulla velocità i nostri deathsters virano sull'impatto, sul fraseggio ossessivo, sul fascino sinistro, crepuscolare, delle composizioni, perciò in questo platter troviamo vecchi amici dei film horror: licantropi, boogeyman, organismi parassiti e zombi, in un insieme ruspante reso lugubre dalla cover cerulea con teschio urlante dalle viscere della terra, mentre all'interno del booklet spunta la tracklist incisa su di una lapide e punte di cancello direttamente dal film "Un lupo mannaro americano a Londra". A livello di lyrics Barnes non si smentisce approfondendo la sua saga splatter alla "Henry pioggia di sangue " mischiata a "Candyman" su un tappeto sonoro emaciato, reso attraente dal sound degli Obituary, già, poichè Allen West ripropone il riffing work dei vecchi compagni spogliandolo degli assoli, spiattellati in tre episodi, però con una produzione cupa sottolineata dal basso che aiuta la chitarra a partorire un suono da sepolcro nella foschia. Il drummer Greg Gall non esegue peripezie sui tamburi, si sente che non ama la velocità, ma è tranquillo, indolente, sa che l'impasto sonoro non muove in quella direzione; il buon Allen, autore di tutte le musiche, qualche volta lo esorta ad accelerare, a velocizzare il ritmo.

"Musica da mostri" è il termnine coniato da mio padre per definire la melodia che usciva dalle casse del mio apparecchio spacca timpani, sinfonia da mettere in auto immersi nella nebbia, quasi ad evocare i lebbrosi di "Fog" armati di uncini metallicic: dunque "Haunted" si palesa come un dragone a due teste, con le prime cinque song di alta qualità ove la band spara tutte le cartucce, mentre gli altri sei pezzi faticano a trovare una loro identità, restando fermi lì, suonati per arrivare alla fine, privi di appeal con il solo vocalist a sostenere la nuvola metallica. Si parte con "The Enemy Inside" dal ritmo tellurico (non speed), caratterizzata dalla voce ben calibrata di Barnes, mezza da cagnaccio e mezza da orso: dopo un intro da notte di luna piena parte la rullata ed il muro sonico Obituary, con West padrone della scena in barba a Trevor Peres e con Gall che aziona bene i pedali fornendo il giusto tappeto ritmico. "Silent Violence" va al trotto ma non muta il progettino, con Barnes superlativo qualdo urla il titolo del pezzo, simile ad un pendolare quando perde il bus. Ma ecco che irrompe il licantropo nella terza traccia: pennate a singhiozzo, a seguire basso caterpillar, chitarra raddoppiata e via! Si alza il sipario con il lupo sanguinario, ma vediamolo a vicino: "The blood of wolf infects my body, in the night hear the howling, screaming flesh chewed to the bone, bleeding, eternal horror...", il pezzo sfuma com'era partito fornendo un senso di angoscia con il suono della sei corde che sembra perdersi nella notte.

"Still Alive" attacca invece con un seducente assolo di Allen West, proseguendo con le urla ed i raddoppi di voci di Chris che , bontà sua, cattura l'attenzione dello spettatore senza mai tediarlo. "Beneath A Black Sky" diverrà un classico dei concerti post album, con un incipit di tamburi da guerra ed il riff che scoppia precedendo l'urlo di Barnes "Look to the skyyy..."; in questo disco l'ex frontman dei Cannibal Corpse non inframmezza il suo growl con la voce da strega isterica come sulla vecchia song "Fucked With A Knife" dei Cannibal. Per chi conosce i maggiori gruppi Death questi Six Feet Under andrebbero presi a randellate, magari perchè non distillano pezzi dall'aroma speed, forse perchè producono un ritmo da tre passi su un mattone, oppure perchè ripropongono le stesse ricette ritmiche plasmate dagli Obituary. Ma qui sta il punto. Superato l'impatto iniziale i pezzi pian piano fanno breccia nella nostra carcassa, ci fanno scuotere moderatamente la cabeza con il loro alone di sacralità horror, ma non scordiamo la seconda parte dell'album ricca di spleen: eccessiva somiglianza tra i pezzi, nessun ghirigoro, nessun Reinert all'orizzonte, nessun Murphy a nobilitare i pezzi, neanche un DiGiorgio formato "Fiend For Blood" (Autopsy docet). Prendere o lasciare.

Un lavoro insolito, da ascoltare con soddisfazione, ostico da assimilare, ma anche impossibile da dimenticare con certi passaggi démodé che nutrono i nostri pensieri alla kafka: "Beneath A Black Sky"

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