"Warpath" è Death Metal che profuma di ruggine, di muffa, di orrida boscaglia, di terrore.
Un frutto malsano autunnale anno 1997, dal sound nebbioso e cimiteriale firmato Brian Slagel, il boss della Metal Blade, sponsor pro domo sua del suono Obituary esangue creato dallo stakanovista Allen "Corrosive" West, affiancato dal fragoroso growl di Chris Barnes (ex Cannibal Corpse) e da una sezione ritmica "Slowly we rot". Doppia cassa roboante non pervenuta, fulminanti mini-assolo di basso latitanti, niente fantasia di chitarre piroettanti, le geometrie ingarbugliate sono bandite da quest platter. Si riparte da "Haunted", pedinando in lontananza la stella polare dei Bolt Thrower. Austera la front cover con i quattro Six Feet Under sguinzagliati nella boscaglia alla ricerca del coltello di "Time Does Not Heal" di darkangeliana memoria, una foto così candida da inquietare.
La guerra, gli zombie, le entità diaboliche che si annidano nell'animo umano sono coronate da una musica tormentata e oscura, uno strato-cumulo di ipocrisie umane messe a nudo. Liriche eterogenee, non soltanto sanguinolente, da reinventare nelle proprie coscienze, soprattutto quando l'orecchio non afferra il tappeto Death Metal lento, d'atmosfera stagnante, talvolta inadeguato, ma così risplendente nel growl proteiforme di Barnes, che escogita ogni microscopico mutamento vocale per magnificare indigenti fraseggi che infestano alcune song. "Nonexistence" è l'hypothermia dell'ispirazione, perfino simile a "Manipulation", ancora indegno phatos cianotico che fa il paio con "Burning Blood". Esausti ci accostiamo, pronti per la tumulazione del songwriting, a "Caged And Disgraced" con Barnes recisamente contro la carcerazione per detenzione di marijuana. Pezzi quindi assai vicini al mini-lp "Alive And Dead" del 1996, dove gli inediti "Insect" e "Drowning" volteggiavano come foglie di platano a ottobre e la cover "Grinder" dei Judas Priest (titolo ad hoc) veniva eseguita pedissequamente, tranne che nella voce iconoclasta.
Nondimeno otto brani riusciti permettono all'album di farsi apprezzare senza far gridare al miracolo. Sotto allora con la sirena da guerra dell'opener "War Is Coming", purifichiamoci i padiglioni auricolari nel riff posapiano del veterano Allen e nel growl amazing di Chris, restiamo lì a scaldarci le cervicali basiti, a pregustarci uno slalom alla "Suffering In Ecstasy" che avviene nella quarta traccia, la bella "Animal Insinct", con un aumento di ritmo vagamente similar "Whiplash" che edifica il suo impatto sul grande Barnes: "Survival!… "Survival!… " latra all'inizio e prosegue a brontolare sardonicamente. "Death Or Glory" è una cover dei pirati Running Wild, una sorta di prova generale di Graveyard Classics" ma anche un inutile esercizio riproposto pure dai Mordred ad un Dinamo Open Air . Eppure il fascino torvo di "As I Die" è palpabile, certamente ispirato dal più bel solo di Allen West fino a qui sentito, prolungato con deliziosi miagolii e consueta distorsione finale, ma questa volta le dita scorrono veloci, con sagacia lugubre e disperata, ci fanno perfino sobbalzare il cuore: stiamo lì a chiederci dove abbia trovato l'ispirazione. "4:20" è ancora narcotica, chiassosamente lenta, ma possiamo almeno applaudire l'urlaccio modulato di Chris in apertura marchiato dal solito "Yeeeahh" a sostegno del riff già metabolizzato, con strofe che partono a voce bassa e sfumano in clean vocals: una bella trovata che consente a Chris di incensare la marijuana.
"Journey Into Darkness" e "Revenge Of The Zombie" sono altre due perline di lugubre romanticismo musicale da gita panoramica al camposanto, melodie sinistre che vanno a braccetto con la "fragile arte dell'esistenza". Non manca neanche una bieca rivisitazione di "Threatening Skies" (Obituary- "Back From The Dead - marzo 1997) che è la movimentata danza di "Night And Visions". I brani più meritevoli sono sparsi nell'album, anzichè all'inizio come su "Haunted". Per avere un'ottima percossa Death metal occorre fondere i brani più rilucenti dei primi due album dei nostri SFU, ottenendo così un prodotto solido per salire nell'olimpo del Death Metal. Buona scelleratezza ma si doveva osare di più. Probabilmente queste riflessioni porteranno al cambio di chitarrista. Arriva quindi il bravo Steve Swanson (ex Massacre età della decadenza) che inietta nuova linfa e idee compositive nel sound dei Six Feet Under. Ma questa è un'altra storia agrodolce.
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