Talvolta i ricordi prendono il sopravvento e allora uscirne immuni diventa una chimerica illusione. Ancor più rafforzata dal fatto che questi sempre più ci prendano di petto, senza darci possibilità alcuna di replica.
E dunque, in questo aprile sconnesso che sfida la stagione dei fiori, ho scovato il mio splendido consorte.
Imprigionate sommariamente tra sfregi di feedback, chitarre e tempi dispari queste sedici tracce dei Six Minute War Madness rappresentano quanto di più interessante sia accaduto negli ultimi anni tra gli spigoli di questa penisola.
Si scrive "Full Fathom Six". Si pronuncia noise rock, ma non solo. Sovente, infatti, trovano posto, anche tracce di certo post-rock. Nelle chitarre fieramente "slintiane", per esempio, fondamenta assolute delle composizioni, oppure nelle bellissime ritmiche matematiche. O, ancora, nella voce a metà tra l’urlo, il canto e il declamato.
Le liriche sono snelle e nude. Appropriate, nel loro modus narrativo, per essere accompagnate dalle splendide trame strumentali.
La partenza è da cardiopalma. Tra sussurri inquietanti (Gli Incubi), illusori silenzi che riservano solo il tempo necessario agli esecutori per accordarsi e deflagrare nel giro di pochi istanti in diaboliche parabole rumoristiche sotto forma, però, di canzone e non esercizio fine a se stesso (Uomini Cattivi Non Ho Più L’Età Per Lasciarli Vivi, che già solo il titolo…), scie di ballate sporche fatte di introduttive interferenze che vanno a braccetto con arpeggi cristallini e sprofondano in parole amare che, volenti o nolenti, sanno di sacrosante verità (Full Fathom Six). A farle strada, frange di elettricità. E poi, ancora, pregevoli narrazioni sottovuoto che rimandano alle memorie dei compianti Massimo Volume (Washington Che Urla), intermezzi anonimi (nel vero senso della parola, visto che non hanno titolo!) per soli strumenti, scagliati nelle misteriose tortuosità della scaletta, ed una ballata strappacuore (Panorama) a siglare l’epilogo di un disco che può contare su abilità strumentali notevolissime, una produzione straordinaria di un Fabio Magistrali (anche musicista in questo caso), qui decisamente a suo agio e forse come non lo è mai più stato.
Si, ora è chiaro, i ricordi prendono il sopravvento e come non potrebbero? In questi giorni, d’altronde, quando gli scaffali dei negozi di dischi si ricoprono della nuova attesissima release degli Afterhours, io quasi fingo di non saperlo. Che all’ultimo disco di Agnelli & Co., in fondo in fondo anche se mi duole ammetterlo, ho preferito questo dei Six Minute. E che non credo mi smentirò facilmente. Fingo di non saperlo. Di non sapere che gli Afterhours senza Xabier Iriondo mi provocano un po' di malinconia. Proprio come questo scorcio di aprile, dove è tornata a soffiare una tale frescura autunnale da stendere la pelle.
E poi, sapete che vi dico? Dico che in fondo se gli preferisco questo “Full Fathom Six”(Santeria 2000) è perché Xabier mi manca troppo e qui ho l’opportunità di percepire la sua presenza, senza troppo clamore. Non posso certo esimermi.
Penso, poi, anche a questo cielo che non vuole cessare di piangere e sommergere le strade di pantani d’acqua lercia e allora m’incazzo e urlo con loro, perché mi sembrano in gamba e invece non se li è cagati nessuno (o quasi), o forse è solo che quest’anno sto aspettando questa cazzo di primavera con ansia e lei si fa aspettare. Che poi non lo so nemmeno perché l’aspetti così tanto. O forse fingo di non saperlo. E’ tutto un far finta.
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