Gli Skid Row (irlandesi e quindi nulla a che vedere con l’eccelsa formazione americana di Sebastian Bach & Co.) si formarono nell’ormai lontano 1967 a Dublino. Furono messi insieme per volere del bassista Brendan Shiels detto Brush, con Noel 'Nollaig' Bridgeman alla batteria (esatto, futuro Van Morrison), un certo Bernard 'Bernie' Cheevers alla chitarra e alla voce… tale Phil Lynott, futuro genio compositore, bassista, cantante e frontman dei Thin Lizzy. Nel 1969 si unì al gruppo un ragazzino sedicenne di Belfast che avrebbe fatto grandi cose in futuro. Il nome di questo talentuoso enfant-prodige era Gary Moore.

Phil Lynott, dopo aver inciso con gli Skid Row il singolo “New Faces Old Places” ed aver imparato a suonare il basso grazie all’aiuto di Shiels, venne da quest’ultimo allontanato. Il ruolo di cantante lo ricoprì il giovane Gary Moore, ormai unico chitarrista della band. Il gruppo ben presto arrivò a suonare in ambienti che contavano, soprattutto grazie all’interessamento dei Fleetwood Mac, in particolare del chitarrista Peter Green, che rimase impressionato dalle doti musicali di Gary Moore. Fu Green a presentare il gruppo ai pezzi grossi della Columbia Records: il contratto arrivò quasi subito e il gruppo incise e pubblicò l’album di debutto nel 1970, intitolato semplicemente “Skid”.

Il gusto tipicamente anni ’70 conferisce al disco un’atmosfera che solo allora si poteva respirare. La matrice è piuttosto blue-rock, tipica della fine anni' 70, ma gli spunti verso altre direzioni sono interessantissimi. Tanti gruppi avevano questo potenziale di hard-blues in quegli anni, ma pochi la potenza ritmica degli Skid, oltre all'enorme talento del chitarrista, vero e proprio elemento trainante di tutta la band.  Il materiale ha tutte le carte in regola per annoverare tra le grandi promesse del nuovo decennio gli Skid Row. Pensiamo all’ottimo opener Sandies Gone, alla (forse un po’ troppo) lunga Felicity, con divagazioni bassistiche quasi jazz, per non parlare dell’esplosione di chitarra dell’assolo di Gary Moore nella calma apparente di Morning Star Avenue, che ha dell’incredibile. Potenza pura, che traspare in brano come The Virgo’s Daughter piuttosto che The Man Who Never Was, ma non siamo alla perfezione: Unco-op Blues è un po’ riempitiva, così come il già citato singolo New Faces Old Places non è il massimo della genialità. Altro difetto è forse la voce di Gary Moore, un po’ acerba, ma data la giovane età è un fatto abbastanza perdonabile, considerando che poi suona la chitarra in modo così subilme a vent’anni. Ma nel complesso un disco di grezzo e sano rock irlandese.

Ah, che belle queste formazioni triangolari basso-batteria-chitarra, come i Cream, come i Rush, come i Blue Cheer… come gli Skid Row. Di questo ottimo esordio si apprezza molto l'essenzialità del sound, oltre che la compattezza dei tre musicisti, caratteristiche che verranno confermate nel superiore seguito “34 Hours” dell’anno successivo. Con l'abbandono di Moore, la band perde quasi tutto: lo scioglimento arriva poco dopo.

Dedico questa recensione alla memeoria di Gary Moore, purtroppo scomparso il 6 febbraio 2011, R.I.P.

Carico i commenti...  con calma