No. Non c’è la rabbia. C’è il mestiere, l’arrangiamento, le strofe alla Bono Vox e tanto altro.

Preciso subito: “Wonderlustre” si ascolta con piacere. Ma chi bramava la new sensation, come all’epoca degli Skunk Anansie anni novanta, poteva tranquillamente fermarsi agli inediti della compilation di due anni fa. E ci saremmo risparmiati il piagnisteo per il vuoto lasciato dallo split del 2001.

Auguriamogli che il mainstream saluti di buon occhio lostesso “Wonderlustre” pure se i quattro inglesi hanno già detto la loro. Pure se si sono fatti un bacino di aficionados e cominciano a fare gli album “col mestiere”. E questo mestiere, per l’onore delle armi che meritano, ci piace ancora.

“The Sweetest Thing” sembra partorita dalla sei corde di un The Edge ispirato. L’opener del disco “Gods Loves Only You”, pure trainata da un riffing niente male, apre su ritornelli “no class” dei lavori più incazzati ed incalzanti degli anni novanta. “Feeling The Itch” ed il primo singolo (“Ugly Boy”) hanno davvero l’impatto per essere pezzi azzeccati per la rotazione sui vari canali.

Le note dolenti quindi non mancano.

“Over The Love” e “You Can’t Always Do What You Like”, tuttavia nel male più che nel bene, potevano essere interpretate degnamente anche dagli ultimi U2. E non ci saremmo accorti da che penna fossero uscite fuori.

E dove è finito l’approccio viscerale di Skin? Perché la voce è di grazia sempre quella, ma il registro vocale della singer aveva provenienza sconosciuta ed inarrivabile al resto di noi rockettari. I vocalizzi di “Post Orgasmic Chills” (1999) scavavano nell’anima con l’inquietudine di partiture oscene e turbolente.

“My Love Will Fall” e l’interpretazione canora di “Talk Too Much” provano a riportarci verso questo approccio più sanguigno. Entrambi i brani, nel crescendo delle strofe che si alternano agli ossessivi versi del coro, ci lasciano immaginare, per un attimo, che le lyrics siano all’altezza del resto. Poi ci si accorge che, forse si, il livello è alto, ma non abbastanza da essere sopra le righe del politically correct. Da bravi scolaretti, puntando il dito e portando pure il segno, ci accorgiamo che neppure le vocals sono oramai troppo sopra le righe del pentagramma.

Parleranno, anche a ragion veduta, di maturità artistica. C’era il caos dentro quella stella danzante.

Oggi, purtroppo, è solo una star.

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