Quando nel 2001, Martin Walkyier decise di mettere fine alla sua avventura con gli Skyclad, pochi scommisero su un futuro della band senza il loro frontman carismatico e autore di tutte le liriche. Walkyier era uno scrittore di canzoni incredibile, sapeva giocare con le parole come pochi, riversando nei testi delle canzoni attualità e passato, usando metafore e giochi di parole di altissima qualità. Dal vivo sapeva catalizzare l'attenzione con spiccata ironia e humor. Quando fondò il gruppo, nel 1990, dopo la fine di quelll'altro grande gruppo che furono i SABBAT, non poteva immaginare che la sua nuova band sarebbe stata ricordata nella storia del rock come uno dei primi gruppi a mescolare metal e folk. Se i primi lavori pagavano ancora dazio al thrash metal della precedente band, con il tempo e i numerosissimi dischi, la proposta degli Skyclad è andata via via sempre più affinandosi. Walkyier, però decise ad un certo punto di mollare tutto, con gli Skyclad non riusciva a mantenersi, i soldi scarseggiavano e il rapporto con i restanti membri sembrava incrinato.
Il posto di cantante e autore fu preso da Kevin Ridley, produttore della band e da poco entrato a farne parte come chitarrista. I restanti membri storici rimasero tutti, Graeme English al basso, Steve Ramsey alla chitarra e Georgina Biddle, violinista entrata nel gruppo nel 1994 e mai più uscita, diventando, anzi, un punto fermo per la svolta folk del gruppo. Purtroppo il debutto della nuova formazione, dopo un ep del 2002, lasciò l'amaro in bocca, " A semblace of normality" (2004) non era per nulla paragonabile ai vecchi capolavori quali "Johan's ark" (1993) o "Irrational Anthems" (1996), tanto per citarne due a caso.
Sono dovuti passare cinque anni, per poter nuovamente ascoltare qualcosa di nuovo e l'attesa sembra aver messo le cose in sesto in casa Skyclad. I testi sembrano essere tornati agli antichi splendori, così come la musica. L'inizio del disco è spiazzante, ma sono solo 40 secondi di suoni elettronici che lasciano presto il posto ad una hard rock song come "Words upon the streets". Il violino di Georgina sembra quello di una volta e la voce di Ridley graffia. "Still small beer" è un veloce folk-punk da pub divertente e alcolico. Tra canzoni che ritornano al thrash degli esordi come "Modern times" o la bella "Black summer rain", ci sono episodi più intimistici come "Babakoto" con le sue melodie orientali o il folk-tribale di "Which is why". Conclusione maideniana con la title-track.
Disco registrato a Ventimiglia, nel Damage Inc Studio di Dario Mollo, "In the...All together", può essere benissimo il nuovo punto di partenza per la carriera di un gruppo che sembra aver ritrovato la retta via e l'ispirazione che sembrava svanita con l'uscita di Walkyier. Ora si spera che il futuro viaggi su questi binari e chissà che un giorno il folletto Martin non ci ripensi e decida di riunirsi con i vecchi compagni di folk...
Carico i commenti... con calma