Dopo i due apprezzati lavori dei suoi Slash's Snakepit e la non esattamente esaltante parentesi Velvet Revolver, Slash sembrava destinato a rimanere un'icona della musica rock con un breve illustre passato e una carriera basata principalmente su live retrospettivi. A smentire questa impressione ci pensò il suo primo vero e proprio lavoro da solista del 2010 basato su numerose collaborazioni con artisti più o meno famosi. Oltre a suonare piuttosto vario ed energico il disco mostrò che di riff di qualità Slash ne aveva ancora da vendere, così come la voglia di esplorare nuove direzioni insieme ad altri musicisti.
Il gruppo che diede alla luce "Apocalyptic Love" nel 2012 rappresentava in tal senso un nuovo inizio che, se non avrebbe probabilmente trovato una sua strada per il mainstream, avrebbe comunque ottenuto un riscontro caloroso dai veri del genere. Reclutati i The Cospirators per completare la sezione strumentale e accolto Myles Kennedy dietro al microfono Slash era riuscito a creare un contesto fertile per coltivare la sua passione per il rock duro talvolta influenzato dal blues. Il lavoro metteva in mostra un approccio vintage alla produzione e una schiera di riff e atmosfere che rimandavano ora agli Aerosmith, quelli del periodo tossico, ora al primo indimenticabile lavoro dei Guns. Il disco aveva inoltre il pregio di contenere almeno un classico capace di stare a testa alta con i migliori contributi all' Hard Rock del chitarrista, non la sola "Anastasia" meriterebbe una menzione ma resta il pezzo più noto tratto dall'album.
Dopo un periodo intenso di continui live shows la band entra in studio per lavorare al successore e a settembre del 2014 arriva nei negozi "World On Fire".
Il lavoro ha un artwork interessante che mostra alcuni giocattoli e oggetti di plastica sciolti insieme con il simbolo di slash che si può notare in alto a sinistra. La title track parte senza fronzoli con un riff facile da ricordare e un ritmo serrato che portano allo scatenato refrain, un ottimo solo è seguito da una ripartenza in crescendo che conduce il pezzo al finale. La produzione è molto chiara e dona brillantezza alle chitarre e alla voce di un Kennedy in gran forma, in generale anche il sound della sezione ritmica risulta aperto e comprensibile.
I successivi quattro pezzi riprendono gli ingredienti vincenti della opener e offrono sequenze di riff coinvolgenti, linee vocali alte e melodiche e interventi solisti azzeccati, particolarmente riuscita "Wicked Stone" che mostra un lato più bluesy ma ugualmente aggressivo e dal tiro alcolico tipico di pezzi come "Nightrain" e "Mr Brownstone" (per citare due esempi illustri). La carica inizale è quindi sapientemente cavalcata fino a "Bent To Fly" che propone un arpeggio rimandante in egual misura all' intro di "Anastasia" o quello della fenomenale "Neither Can I" pur dimostrandosi un "lento" dall'atmosfera decisamente più positiva. Una (quasi) pausa che permette di rilassarsi un poco prima di altri 4 pezzi più scatenati. "Stone Blind" si regge su un ritornello irresistibile mentre "Too Far Gone" e "Beneath the Savage Sun" mostrano un lato più pesante del disco, "Withered Delilah" è invece un'altra perla chitarristica con l'ennesimo riff memorabile e un ritornello catchy. "Battleground" interrompe nuovamente la scarica hard rock con strofe melodiche e un andamento tipico di una ballad. Un buon solo e l'ottima interpretazione vocale tengono insieme il pezzo fino ad un finale che rimanda fortemente agli Aerosmith di Nine Lives (cosa buona o negativa a seconda dei punti di vista). "Dirty Girl" urla Perry/Tyler ad ogni nota pur avendo la vocalità particolare di Kennedy, forse non tra i migliori momenti del disco ma neppure sottotono. "Iris of the Storm" segue le coordinate generali degli altri pezzi ma a parte una melodia vocale apprezzabile non risulta particolarmente interessante. "Avalon" scorre via senza distaccarsi troppo dalle due che la precedono mentre "The Dissident" rialza il tiro con una melodia nuovamente vincente e un tiro ottimista che cattura al primo ascolto. La gradevole strumentale "Safari Inn" non sembra voler strafare e si lascia ascoltare senza cali prima di lasciare spazio alla conclusiva "The Unholy" che amalgama un atmosfera dilatata con delle melodie dannate differenziandosi dalla sensazione positiva e un po' selvaggia che pervade la maggior parte del lavoro. L'album è piuttosto lungo ma attraverso i suoi 17 pezzi mantiene una qualità coerente.
Un lavoro decisamente riuscito che, forte di una produzione all'altezza e di molti pezzi da ricordare, faceva presagire una stabile e fruttuosa continuazione della collaborazione negli anni. L' inaspettata reunion dei Guns però ha sancito una nuova svolta nella carriera del chitarrista e sembra improbabile di poter assistere ad un nuovo lavoro della formazione in breve tempo. Resta la curiosità per il nuovo disco con Axl e Duff e considerate le ottime prove recenti ci sono buone possibilità che si dimostri in linea tanto col passato della band quanto con gli ultimi dischi di Slash.
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