Se a 11 anni il tuo gruppo preferito sono gli Slayer, probabilmente le cose non ti vanno troppo bene.
Nulla di grave, per carità. Magari è solo che i tuoi compagni di classe non sono proprio dei simpaticoni, che se ti mettono un pallone tra i piedi fai sembrare Ranocchia un misto tra il Baresi d'annata e Roberto Carlos, che odi tua sorella e hai degli occhiali tanto spessi da appiccare un incendio se li lasci al sole.
E allora ti basta mettere nello stereo la cassettina di "Seasons in the abyss" che ti ha registrato un tizio del tuo palazzo e passa la paura. Le orecchie ti si riempiono di distorsioni e fischi, le tempie di un martellare incessante e, in qualche modo, la rabbia che covi trova una sentiero da seguire.
Perchè, a 11 anni, quando le cose non ti vanno troppo bene, forse hai solo bisogno di qualcuno che urli al posto tuo.
Se a distanza di 25 anni da quella cassettina, ti ritrovi a recensire il nuovo disco degli Slayer, probabilmente le cose non sono migliorate granchè.
Oppure è solo che, nonostante gli anni passati, sei ancora talmente affezionato a quel gruppo da volergli dedicare almeno un sabato mattina, sul divano, in piagiama, con lo stereo a palla e un documento vuoto di word da riempire.
E volendolo rimpiere, sto documento word vuoto, si può dire che "Repentless" è tutto sommato un buon disco.
Da più di 30 anni gli Slayer, per citare un fine pensatore dei nostri tempi, sono i migliori in quello che fanno. E quindi fanno solo quello. Sono professionisti che scrivono canzoni con il pilota automatico, con la piena consapevolezza di non potere uscire dalla iconografica che loro stessi si sono cuciti addosso, fottendosene di chi li accusa (giustamente) di suonare monotoni o ripetitivi e addirittura riciclando in maniera più o meno spudorata soluzioni e idee già utilizzate anche in brani famosissimi (vedasi, per tutte, le "citazioni" assolistiche in "Implode"). E se ogni tanto provano a variare un po' la minestra ("When The Stillness Comes") te ne accorgi e pensi che sì, non c'è male, però...
Bostaph è oggettivamente mostruoso e, come al solito, ci sarà chi dirà che "ehhhh, ma Lombardo...." e io come al solito dirò che Lombardo è Dio, ma Bostaph suona meglio la batteria. E gli arrangiamenti della sola "Cast The First Stone" sono lì a dimostrarlo.
Da un paio di dischi a questa parte, Araya mi dà soprattutto la sensazione di avere una gran voglia di appendere al chiodo il basso e quello che gli rimane delle corde vocali, tagliarsi barba e capelli e andarsene a svernare in un posto tipo Riva Bella o Arma di Taggia, dove ammazzarsi di scopone scientifici corretti grappa. Intendiamoci: ci dà ancora dentro di brutto ed è davvero incredibile che riesca ancora a urlare come un matto da più di 30 anni (anche se l'urlo in "Chasing Death" mi ha ricordato quando mia nonna tirava il collo alle galline), ma (perdonerete la presunzione) se hai ascoltato gli Slayer ininterrottamente per più di 15 anni e adesso li riprendi solo quando pubblicano un nuovo disco, non puoi fare a meno di notare certe cose. Tipo che le linee vocali sono costruite in maniera tale da fargli prendere respiro alla fine di ogni verso. Oppure che se volesse anche solo pensare di rifare l'urlo di "Angel of death" avrebbe bisogno di... No. Niente. Non ce la farebbe e basta.
A livello chitarristico, il suono tagliente e ferale dei dischi degli anni '80 è stato da tempo sostituito da uno più moderno e hardcore, più pastoso e crepitante, meno secco, che magari fa più "muro", ma che a una cariatide come me continua a non convincere del tutto.
E, sempre in tema di chitarre, prima che arrivi qualche genio del male a dire minchiate, spazziamo ogni dubbio: se non c'avessero detto niente, nessuno si sarebbe accorto che manca Hanneman. Non so se sia perchè Bolt si è amalgamato perfettamente allo stile (?!?!?!??!?!?!?!?) di King oppure perchè la fase di scrittura è andata più o meno così:
Holt: "Ciao Kerry! ho un riff bellissimo da farti sentire! Scialla:
ZZZZSBRASDRRAGAGAGAGGATSHZZZZDRAGAGAGGKLZZZZZISDRAGAGAVZOS4RE
King: "Mmm... beh, per essere carino è carino. Però senti questo:
ZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZDA! ZZZZZZZZZZZZZDA-DA! ZZZZZZZZZZZZZZZZZZZDA!
Holt: "Cavolo Kerry, è senz'altro molto bello. Ma non è che forse l'hai usato per scriverci un altro paio di dischi?"
King: "In tutta sincerità non mi pare... Però se vuoi possiamo rescindere un contratto milionario, tu puoi rinunciare a fare un disco con la più grande thrash medal band della storia di questa umanità e delle prossime cinquantamila specie che abiteranno la terra e tornare negli Exodus, sempre che ti vogliano ancora. Magari loro la pensano come te"
Insomma, io a Jeff ho voluto davvero bene. Sì, era un po' nazista, e da una ventina d'anni a questa parte riusciva a vestirsi solo con la stessa maglietta da hockey dei Los Angeles Kings, ma a ben vedere ha scritto le mie canzoni preferite degli Slayer ed era un ubriacone. E se King mi ha sempre dato l'idea del ciccione rissoso e molesto, ignorante come un testicolo di Gasparri, io con Jeff c'avrei fatto volentieri serata, magari con la consapevolezza che mi sarei svegliato il mattino dopo con la bocca amara e il bisogno di un trapianto di fegato.
Eppure, davvero, la sua mancanza non si sente.
Mancanza...
Ecco. Più lo ascolto e più mi chiedo: cosa manca davvero a questo disco?
Forse, ragionandoci su, niente.
O forse, ragionandoci su un po' di più, tutto.
Manca l'emozione.
La mia.
Manca che, al tempo di quella cassettina, io aspettavo di essere solo in casa.
La inserivo nella piastra dello stereo e alzavo il volume.
E quando partiva "War Ensemble" tutto spariva.
Sparivano la scuola, gli amici che non lo erano davvero, la ragazza a cui non piacevo, il mio corpo gracile e i miei occhi guasti.
Ed io ero il soldato che cammina tra i cadaveri, io ero la luce dei traccianti che illuminano a giorno le trincee, io ero la bomba che cade dal cielo.
Io ero il sorriso maligno che si allarga come uno squarcio sulla faccia.
Io ero il cattivo.
Io ero l'assassino.
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