Era tra gli ultimi fari dell'ormai defunto movimento delle Riot Grrrls dei primi 90 questo trio al femminile di Portland, che pubblica il disco in questione un anno prima di un addio velato dalle parole "indefinite hiatus", di certo più soft di una definizione più forte e che può essere violenta quanto una coltellata: scioglimento.

Ma forse ciò era inevitabile. "The Woods", infatti, rappresenta la vetta di una scalata che le tre ragazze, (Corin Tucker, Carrie Brownstein voci e chitarre e Janet Weiss alla batteria) hanno intrapreso progressivamente con successo dando vita a 6 albums di tutto rispetto, partendo dall'influenza delle riot grrrls, in particolar modo delle Bikini Kill, per poi proporre un percorso più personale: un'ottima miscela di pop, punk e rock basata sulla comunicazione e alternanza di due chitarre unite dal ritmo serrato della batteria. Una miscela che sembrava essersi consolidata definitivamente con il precedente "One Beat" uscito nel 2002. Invece, le Sleater-Kinney decidono di sorprenderci (significativa la scelta come produttore Dave Fridmann e di pubblicare il disco con la Sub-Pop - anzichè la Kill Rock Stars come in quasi tutti i dischi precedenti).

L'effetto sorpresa arriva sin dalla prima traccia, "The Fox": un petardo che scoppia nelle orecchie dell'ascoltatore e spaventa chi meno se lo aspetta con il suo violento e potente alternarsi tra piano e lento e liriche da favola moderna. La seconda traccia, "Wilderness", ci introduce in uno dei temi cardine dell'album, la desolazione e la disillusione della vita quotidiana, che verrà ripreso anche nelle successive "Jumpers" e "Modern Girl". La terza traccia, "What's mine is Yours" lascia intendere quali nuovi ingredienti musicali siano stati aggiunti nella ricetta di questa band: psichedelia, noise e improvvisazione. Elementi retrospettivi, riscontrabili anche nei testi che contengono spesso riferimenti letterali (Twain in "Jumpers" e Huxley in "Modern Girl"), che le ragazze guardano per poter andare avanti, migliorare e cercare di suonare qualcosa di buono, ricco di riferimenti al passato, ma non per questo poco originale. E il manifesto di questa "filosofia" è quella che probabilmente è la traccia migliore dell'album: "Entertain". Una denuncia cantata con voci annoiate e serrate contro l'attuale scena indie, a loro parere, una copia passiva di band passate senza prendere esempio dai loro presupposti di partenza.

In questo album nuvoloso e disilluso c'è spazio per un breve ma intenso e caldo squarcio di luce, rappresentato dalla bella "Rollercoaster", nonché una montagna russa sonora in cui non si può far altro che lasciarsi andare. Le nubi tornano con la malinconica "Steep Air" per poi passare alla "battaglia" lunga 11 minuti circa di "Let's call it love", forse la sintesi definitiva di quello che le tre ragazze hanno appreso in 11 anni di carriera.
L'album si chiude con una pillola amara che volenti o nolenti bisogna inghiottire, la triste "Night Light" che ci lascia con l'immagine sonora à la Lost in Traslation di una metropoli matrigna pronta a inghiottirci nella nostra solitudine.

"The woods" potrebbe essere tranquillamente la colonna sonora della materialista, scontata e solitaria vita urbana dalla quale, come lascia intendere "Jumpers", il singolo che chiude la loro carriera, forse l'unica via di fuga è la morte. Ed è allora che la senza fine attesa per "qualcosa che non arriverà mai" si trasformerà in una di 4 secondi, più breve ma non meno lunga. Ed è magari per questo che dopo questo album le tre ragazze hanno deciso di dividersi: per evitare di finire col restare intrappolate in una prigione di banalità, monotonia e noia.

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