Breadcrumb Trail, Nosferatu Man, Don Aman, Washer, For Dinner, Good Morning Captain. Sei tracce a metà via tra un maldestro, sgangherato pungente blues-folk ultra-amplificato e la musica strumentale di estrazione noise-rock, suonate sia con la foga dei musicisti provetti che con la solenne maestria di un ensemble avanguardistico. Tutti e sei i brani prevedono complesse e ardite rielaborazioni armoniche, timbriche, ritmiche e (anti)melodiche. Ci sono dissonanze, battimenti, consonanze stonate, addirittura variazioni storpiate della sequenza timbrica e accordale (come in Don Aman, uno dei pezzi più sottovalutati dell'album). Il canto è quanto mai poeticamente malleabile: grido, sussurro, sussulto (dell'anima e delle sue pieghe oscure), parlata inquieta, declamato ambientale, delirio catatonico.
Nelle apparenze di un disco adolescenziale, è, insieme, catalogazione e vivisezione, starting-point e non-ritorno, requisitoria costruttrice di un universo, altare espressionista di sformatura e ibridazione mostruosa. Parte dalla notte suburbana, quella degli angoli illuminati al neon, di strade e memorie torbide, sfocate, fatte di decadenti flash audiovisivi, e arriva al cordoglio cosmico, in un pinnacolo di crescendi drammatici che dalla sordina degli armonici iniziali approda alle sfuriate di Mcmahan della chiusa.
Il più avanzato stadio del post-hardcore. Un complessissimo mosaico di schegge subliminali. Il perfetto resoconto di una morte interiore. La scatola nera del cosmo. Lo sgretolamente definitivo del rock e delle sue icone. Un poema sinfonico di maestoso silenzioso terrorismo acustico. Il sigillo inappellabile al cordoglio in musica. Il canto alto di una generazione disagiata e devastata.
Sotto l'egida di Albini, è anche un campionario dei capolavori strumentali dei componenti della band: in primis la commovente parte di batteria di Walford (poi alle Breeders) e la chitarra malata e obliqua di Pajo. Da uscita in sordina dell'underground americano a lavoro epocale: numerosissime saranno le figliolanze e le parentele più o meno trasversali che l'onda d'urto creativa dell'opera in questione contribuirà a far nascere. Secondo e ultimo disco della band di Louisville, che si scioglierà e disperderà un po' ovunque i suoi componenti, registrato in una session di un mese dall'agosto all'ottobre del '90. In quel lontano 1991 passò giustamente ( come capita per tutte le vere opere di rottura) inosservato talmente era grossa la portata innovatrice del disco.
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