Sloath are a sickly, unwholesome, long & short haired five piece from the south coast of England, brought together by a mutual desire to play the slowest, loudest and heaviest music possible using guitars, bass, drums and chat-like vocalisations.
Così si presentano sulla paginella bandcamp del primo disco. Questo e poco altro mi è capitato di leggere, tipo che Deep Mountain del 2014 è il secondo disco e che hanno aperto le danze a gentaglia come le Acid Mothers, tra Om e Bardo Pond vari. Il tutto nel quasi totale anonimato, infatti voglio bene @[Festwca] per avermeli citati qualche giorno fa. Sleep lasciati a stagionare dieci anni nel miele, quindi psichedelia amichevolmente ruvida e dilatata fino allo snervamento, che può esistere per qualche simile motivo:
- perché le api fecero il miele nel teschio del leone;
- perché barba e montagna si accoppiano sempre bene.
Figurerei l’ascolto come il trovarsi vicino a montagne che parlano in maniera frastornante intenti a scalarle lentamente, avanzando senza fare fatica con passo cadenzato andante moderato sull’adagio. Talvolta anche esageratamente cadenzato, Deep Mountain è una sorta di doom colorato quanto catatonico, uno stoner sciolto nel drone.
------> muovile e cammina dai <-------
Juvis Priestly è l’opener, e partendo in quinta (quarta dai), decisamente maschera la vera natura slow motion del disco, che nemmeno giunti a Legs intrappola tra distorti riverberi e sonori mantra dai tratti blues. The Toucher è una frana a rallentatore ed in tutto ciò si arriva a respirare perfino un po’ di sludge. Giunti oltre metà disco, stati di trance permettendo, le montagne purtroppo non sembrano essersi avvicinate di un pelo, ed ecco un’immagine che mi sono fatto del disco: ascolti qualcosa che sembra non finire. E ripensando a quelle montagne, sono così grandi che pensi alla sabbia solo come sassi piccolissimi, poi i brani diventano semplicemente grandi strutture che crollano, lentamente.
Non so quale sia la giusta velocità del tempo, ma questa ogni tanto non è male.
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