C'erano una volta all'inizio degli anni '90 gli Shoegazers: quelli che mentre suonavano fissavano la punta delle scarpe perché messi a disagio dalla gente che li guardava; una musica narcolettica, stordente, lancinante e angelica allo stesso tempo. Nel 1995, di quel movimento era rimasto ben poco. Gli Slowdive venivano da due capolavori consecutivi "Just For a Day" e "Souvlaki", più volte mi è capitato di sentire dire da certi fruitori che degli Slowdive bisogna avere i primi due, ed io non posso che nutrire profonda compassione per questi figuri.
Tira aria di rivoluzione silenziosa nel terzo e ultimo "Pygmalion", lo shoegaze resta solo un pretesto per varcare i confini del sogno, il post rock miete vittime anche tra gli shoegazer, il dreampop dei primi dischi si volge al post rock (alla Talk Talk e Bark Psychosis), il risultato è la rarefazione, i pezzi risultano basilarmente acustici e liquidi, talvolta elementari nella struttura, minimali (ma senza ricordi velvettiani degli isolazionisti alla Spiritualized), la lunga “Rutty” è pura astrazione, la metafisica dell’incompiutezza, le voci distanti e profonde, grazie a un sapiente uso del sustain. E trance, alimentata da una infinite guitar impalpabile; "Miranda" è semplicemente fantastica, percorsa da un campionamento di voce femminile che mette addosso una incredibile malinconia; "Trellisaze" è disturbante e rumoreggian-te, non rumorosa; "Blue Skied an'Clear" potrebbero averla scritta i Talk Talk più mistici di Spirit of Eden (per il sottoscritto il pezzo rimane il vertice suggestivo dei slowdive). L'intensità spirituale è riconfermata in pieno anche dopo questa operazione radioheadiana di “come scomparire completamente”.
Questo è il disco che i Sigur Ros non riuscirebbero a fare nemmeno dopo un patto col diavolo, la classe o ce l’hai o non ce l’hai, e i Ros nun gliena fanno. Pygmalion rimane ben sopra alla progressione delle canzoni rossiane, visto che il crescendo, quando c'è, è sempre inglobato nel pezzo e non appare un'informe massa di cantato all'orizzonte. Oggi nel 2005 quando ascoltiamo questi dischi di un decennio fa e ci lasciamo trasportare da queste carezze vocali da estasi new-age rimpiangiamo gruppi così idilliaci che non hanno ceduto di un millimetro allo strapotere delle Major.
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