Sly & The Family Stone è il nome del progetto nato dalla mente sulfurea di Sylvester Stewart (1943), polistrumentista afro-americano che nei primi anni‘60 si fa un nome come produttore e musicista turnista per le maggiori case discografiche di musica soul californiane.
A metà del decennio decide di costituire coi fratelli Rose e Freddie un gruppo con musicisti eterogenei sia per sesso che per colore di pelle, che dovesse già con la propria “multirazzialità” sfondare un primo tabù, quello dei “bianchi”, che non devono o non possono suonare musica nera. Nasce così la “Family”, con a capo Sylvester che prende il nome di “Sly Stone“.
Ma l’innovazione avviene soprattutto sul lato musicale: prendono avvio una serie di sperimentazioni vertiginose da parte di tutto il gruppo che si scagliano sempre più estreme sul tappeto del soul, fino allora genere intoccabile e patria di eroi come Otis Redding o Sam Cooke (che comunque causa prematura scomparsa non avevano neanche avuto il tempo di iniziare un’eventuale rivoluzione stilistica del genere).
Sly in un percorso parallelo col più navigato - e a quel tempo altrettanto creativo - James Brown sarà il pioniere di una nuova musica, ovvero un soul portato agli estremi e fatto incrociare con il rock bianco, soprattutto per quanto riguarda quello più selvaggio e psichedelico. Nascerà il funk, un genere straordinario, imitatissimo, che vivrà un epoca d’oro per tutti gli anni ’70 coi frutti raccolti dai semi di questi innovatori, finché a forza di sempre più scialbe re-interpretazioni andrà eclissandosi simbolicamente con l’avvento della disco-music, una sottospecie di funk senza arte né sostanza.
Tornando a Sly, dopo un paio di album medi in cui la volontà di uscire dal cerchio è onnipresente ma senza idee chiare sulla “nuova strada” da prendere esce un terzo album scoppiettante, Life (1968). In anticipo sui tempi, i pezzi sono brevi e orecchiabili, ma vibranti e pieni di vita: i suoni sono - cosa da film di fantascienza a quei tempi per un Ray Charles o per le Supremes - in funzone dei testi, non solo viceversa. Anzi, i testi, per quanto semplici, vanno tutti in una precisa direzione, lanciare un messaggio per tutti di pace, amore e inno alla vita.
Tutto quindi molto semplice, ma nuovo, e rimane difficile non rimanere catturati dal primo ascolto. E non solo per la musica, veramente carica e spassosa, con una band che ha acquisito tutto quel che di buono c’era nel R&B (canti incrociati con scale di tonalità degne dei Temptations, groove scatenati, motivetti quasi circensi o da feste sulla spiaggia, grande senso del ritmo) e l’ha portato avanti anziché per un hit single per un album intero, e tutto al massimo della potenza. E queste 11 canzonette sono solo un assaggio di quel che la prima rock band nera ha in mente. Facendo un paragone BLURriano, Life è il Modern Life Is Rubbish del gruppo. Stand sarà il suo Parklife.
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