Io sono stato sempre molto diffidente quando si trattava dei cosiddetti "supergruppi". Sarà un pregiudizio stupido, ma ogni volta che sento che diverse personalità di spicco della musica uniscono i loro sforzi per registrare un disco ho sempre qualche sospetto: riusciranno a coesistere questi "lupi solitari"? Ce la faranno a non calpestarsi i piedi a vicenda e a non pensare a chi sia il più bravo, bensì a lavorare per creare un prodotto davvero di qualità?

Fatto questo preambolo si può ben immaginare, nonostante l'ovvio entusiasmo per i nomi coinvolti, come io abbia preferito tenere le mie aspettative al minimo prima dell'ascolto di questo "Thunder", album pubblicato nel 2008. Il disco in questione, infatti, è frutto della collaborazione tra tre dei più grandi bassisti viventi, i quali non hanno certo bisogno di presentazioni: Stanley Clarke, Marcus Miller e Victor Wooten. Un trio di leggende sicuramente, ma saranno state capaci di tenere a freno il loro ego e produrre un album degno del loro nome? La risposta, ve lo dico subito, è "Sì".

Sarebbe stato facile puntare sul vuoto e sterile virtuosismo e dare alle masse un semplice manifesto dell'infinità tecnica che possiedono i tre, ma il supergruppo Clarke/Miller/Wooten ha preferito puntare sulla melodia e sul lavoro d'insieme: assunti quindi collaboratori degni del loro talento (ad esempio George Duke al minimoog e Chick Corea al piano) il trio confeziona un lavoro jazz fusion che soddisfa sia il musicista e/o appassionato attento ai particolari tecnici che l'ascoltatore un po' più distratto in cerca del motivo orecchiabile. Il talento di questi bassisti è perciò messo al servizio della canzone, la quale non viene inghiottita dalla tecnica dei musicisti e svuotata di ogni interesse bensì ne esce ancora più valorizzata, acquistando perfino più fascino. Vertiginose linee di basso che su delle sempre raffinate basi di tastiera e batteria si uniscono e si scambiano di ruolo ogni minuto che passa con ogni musicista che, a turno, accompagna la melodia e crea un equilibrio perfetto con il motivo solista, sempre efficace e mai noioso. In questo album tutti sono protagonisti e nessuno è lasciato in secondo piano

Un altro rischio in cui rischiava di incappare "Thunder" era di rendere indigesta la presenza di ben tre bassi all'interno di un solo gruppo, rischio che per fortuna viene saggiamente evitato: il trio infatti riesce a modellare un'armonia perfetta tra gli strumenti, non causando perciò nessuna confusione nè un'eccessiva presenza del basso che, pur rimanendo lo strumento principe di questo lavoro, non ingombra del tutto la scena lasciando spazio anche a tastiere, sintetizzatori (suonati da Miller), contrabbasso (suonato invece da Clarke) pianoforte, batteria e perfino trombe e tromboni; un'amalgama degno dei lavori migliori di questo genere.

Questo debutto dei SMV è quindi un lavoro completo e degno della nomea dei musicisti coinvolti; se tutti i supergruppi fossero composti da gente con la mentalità di Clarke, Miller e Wooten la diffidenza verso il fenomeno dei supergruppi sparirebbe all'istante per lasciare spazio ad una sola cosa: la spasmodica attesa per il disco successivo.

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