Le scelte nella vita sono quasi sempre dettate da questioni di cuore. Irrazionali e travolgenti, speciali proprio per l'imprevedibilità delle loro implicazioni, per la singolarità (in senso matematico) che generano nell'Universo, perchè esprimono un qualcosa di profondo, insondabile da parte degli altri, garantendo l'irripetibilità del nostro essere e rendendoci in definitiva umani. Questo sproloquio, oltre al sibillino scopo di tediare a morte provocando l'autoeliminazione fisica di un'apprezzabile parte di questo affollato manicomio, vuole mettere in risalto come, anche per un musicista, al di sopra di qualsiasi aspetto tecnico/elaborazione razionale, la decisione lungo il range che va' da "uau godo come un suino nero dei Nebrodi" a "A.A.A. testicoli cercansi, avvistati l'ultima volta mentre la Rai spacciava Marzullo" è dettata in prima istanza da aspetti imprevedibili, emotivi potremmo dire.
E' in quell'istante di epifania che godi della vita, di essere nato pietosa poltiglia di muscoli e pelle, del potere che ogni giorno possiedi di plasmare la tua esistenza, riprogrammarla, ridefinirla.
Questo è stato il mio primo appuntamento intimo con gli Snarky Puppy.
Per capire di chi/cosa stiamo parlando, come ci insegnava una volta la maestra (quando esisteva ancora la scuola), dobbiamo buttare un occhio alla storia: era il lontano 2004 quando ad un gruppo di 40 studenti dell'Università del Nord Texas, capeggiati dal buon Michele Lega (Michael League al netto di recrudescenze littorie, spero nessuno se ne abbia a male), punse vaghezza di unire forze ed intenti per suonare qualcosa di buono. Questo è il primo aspetto caratterizzante sul quale val la pena soffermarsi: questa gente fa buona musica, in senso universale, a prescindere dal gusto o dalle emozioni scatenate, quando ti concentri e metti a riposo il cavallo imbizzarrito che ti attraversa senti tanta qualità, e nessun musicista
degno di questo nome riesce a resistere alla qualità. Da quel giorno tanta gavetta, tanta attività live ma anche un discreto numero di produzioni originali, fino a farsi un nome ed arrivare a vincere un Grammy nel 2014 per la "Best RnB performance" con "Something" cantata da Lalah Hathaway (contenuta nell'album "Family Dinner Volume I"). Il passo successivo è stato questo album, "We Like It Here", registrato live ad Utrecht in quattro notti sempre nel 2014.
Ed è a questo punto che le nostre strade hanno incocciato, senza dolore.
Non ribadirò quanto sia rimasto estasiato in quell'istante, proverò piuttosto a capirci qualcosa: di che genere musicale stiamo parlando? Non l'ho ancora capito. Prossima domanda? No ok scherzo, fermiamoci qui. Faccio fatica a dare una definizione che si sforzi di non citare qualsiasi genere musicale conosciuto (eccezion fatta per il Death Trash Tribal Brutal Metal, ma capirò se ve ne farete una ragione), però se vogliamo ricondurci ad un filone musicale, potremmo inquadrarli nel Jazz Fusion. Però le contaminazioni si sprecano, dal rock al progressive al funk all'RnB alla world music. E ogni brano vuole mettere con perizia e dovizia in chiaro il loro concetto di contaminazione: dall'incedere orientaleggiante di "Shofukan" che esplode in un trascinante riff di fiati e voci, al cadenzare vulcanico di "Lingus", ai ritmi di samba di "Tio Macaco", al free funk-rock domato dalle percussioni di "Jambone", al dolce incedere elettronico di "Sleeper" dove a far da padrone è il Talk Box di Shaun Martin. Ce n'è davvero per tutti i gusti. Anzi, per un solo gusto, quello del succitato piacere per l'autodeterminazione e l'espressione di sè, che ci rende sovrani del mondo anche tra le quattro mura della nostra casa. Non provate a chiederlo al gelataio però che vi manda a cagare.

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