A volte, per fortuna, ritornano. Non importa dopo quanto tempo, non importa se con tant(issim)o da perdere. L'importante, nel caso di Mike Ness, era semplicemente ritornare, da quell'inferno fatto di droga, prigione, violenza, abbandono, che lo ha quasi risucchiato nel baratro in cui già erano finiti tanti altri ragazzacci della vecchia Orange County.
Per Mike evidentemente, il destino aveva in serbo qualcosa di diverso dal cimitero o dal carcere: dare seguito ad una storia fantastica, iniziata nel 1983 con quella piccola ( dura appena 27 minuti) ma grandissima ( ascoltatelo per capire) gemma intitolata "Mommy's Little Monster". Una cometa splendente sulla cui scia dorata sarebbe stato un delitto non proseguire. Arriviamo quindi al 1988, anno in cui i celebrati Metallica pubblicano "....And Justice For All" (attenti a questo titolo, lo ritroveremo parzialmente anche in ambito Social D), primo disco del post Cliff Burton, mentre i Social Distortion rilasciano il primo LP firmato dal Ness Ritrovato. Oppure, a seconda dei punti di vista, Il primo disco della nuova era.
"Prison Bound", l'album in questione, è infatti il trampolino di lancio per quelli che saranno i Social D fino ai giorni nostri: una irripetibile ( e personalissima) fusione tra punk melodico made in California ed il meglio della musica Americana, quella con la A maiuscola. Con una bella dose di Rolling Stones in aggiunta ( qui omaggiati con la bella cover di "Backstreet Girl") . Alcuni lo chiameranno Country Punk, altri si faranno semplicemente catturare da questo caldissimo sound che mescola Johnny Cash e i Ramones ( o Hank Williams e i Clash, se preferite), il tutto concentrato nel carisma e nel songwriting- comunque stupendo sin dagli esordi- del poetico e tormentato Ness.
Rispetto alla sacra triade firmata Epic ( "Social Distortion", "Somewhere Between Heaven And Hell", "White Light White Heat, White Thrash"), "Prison Bound" gode di una produzione evidentemente più spartana, più vicina agli esordi del gruppo di Fullerton che non al luminoso futuro. I legami col passato sono accentuati dalle prime tracce : "It's The Law" altri non è che la riproposizione della originale "Justice For All" ( vedere sopra per ricordare l'accostamento, comunque solo nominale, tra il gruppo di Mike Ness e i Thrashers di L.A.) contenuta nella raccolta Mainliner, mentre "Indulgence", con i suoi stacchi e ripartenze ed il testo essenziale, si presenta come collegamento ideale tra "It Wasn't A Pretty Picture" e "Moral Threat" presenti sul platter d'esordio. "Like An Outlaw (For You)" va ricordata invece per diversi motivi: oltre ad essere la prima canzone dichiaratamente western-punk dell'opera ( e forse dell'intera produzione del gruppo), è frutto della collaborazione tra Mike Ness ed il suo compagno di mille battaglie Dennis Danell, che co-firma in tutto tre brani sul disco. È singolare che i due chitarristi abbiano avuto da quel momento pochissime altre occasioni di dimostrare il loro affiatamento compositivo, quando invece nella vita privata furono inseparabili fino alla prematura morte di Dennis. La title track, meravigliosa ballata country punk antesignana delle più quotate (e altrettanto splendide) "Story Of My Life" e "Ball And Chain" , racconta della dura esperienza in carcere del frontman riconducendovi la scoperta delle nuove influenze (Cash su tutti) ed il cambiamento a livello stilistico ed attitudinale. Difficile pensare ad un modo migliore e più personale per sigillare la prima metà dell'album.
Non convince del tutto "No Pain No Gain", con il suo inusuale incedere flamenco, subito seguita dalle ben più incisive "On My Nerves" e "I Want What I Want" ( aperta da un riff minaccioso, precursore di pezzi dalla vena dark come "Pleasure Seeker" e "Gotta Know The Rules"). La chiusura è affidata al blues-punk cupo e sofferto di "Lawless" , il cui tono struggente rimanda addirittura alla miglior tradizione del Mississippi, e all'autobiografica "Lost Child", dove gli argomenti di perdizione e travaglio sono narrati con il brio e la poesia punk che solo Mike Ness sa evocare.
A prescindere comunque dai discorsi sulle singole tracce e sulla produzione ancora ancorata a canoni lo-fi, sarebbe ingiusto ridurre Prison Bound al ruolo di mero album di transizione. Pur privo dell'impatto dirompente di MLM, ne mantiene l'energia di base tentando al contempo di svilupparla in direzioni più personali e di tracciare quel sentiero che consentirà ai Social Distortion di sopravvivere al destino di molte altre punk band nate e sepolte nei sobborghi di L.A., fino a conquistarsi il meritato titolo di leggenda. Un mito che dura da più di tre decenni, costruito su pochi, ma brillantissimi album; su una coerenza invidiabile e sulla capacità di suonare punk rock abbinando semplicità e personalità. Sembra poco, come pochi sono gli accordi con cui Ness costruisce i suoi gioielli di poesia suburbana e di calore blues-country. Pochissimi, però, riescono ad offrire lo stesso, strabiliante risultato.
Disco indispensabile, se si vuol comprendere ed approfondire la storia di un gruppo unico; comunque prezioso, per chi crede che il punk rock possa anche ( o soprattutto) essere miscela vincente di melodia, lirismo e feeling.
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