"Specchio specchio delle mie brame, chi è la più rock del reame?" 

"Sei tu Maria Antonietta!" 

Maria Antonietta d'Austria, ingiuriata, accoltellata alle spalle dalle persone a lei più care, condannata dalla Storia a rimanere impressa nella memoria collettiva per l'equivocata frase "Il popolo non ha i soldi per comprare il pane? Allora che mangi le brioches!", ancora oggi ritenuta erroneamente stupida, frivola, civetta, la peggiore sovrana di tutti i tempi. Forse proprio la sua immagine di donna vanitosa così come ci è stata ingiustamente trasmessa dalle cronache ha attirato diversi studiosi fra i quali Antonia Fraser, autrice di una biografia riguardante la monarca decapitata. Sofia Coppola parte proprio da questo studio per costruire un film che si pone come ultimo capitolo della sua trilogia sulla giovinezza inquieta dopo il suo bell'esordio "Il giardino delle vergini suicide" e l'acclamato "Lost in traslation".

La figlia di Francis Ford decide di fare le cose in grande e si da appuntamento nella Francia del '700 con un cast stellare dove compaiono anche una tamarrissima Asia Argento-Du Barry e Judy Davis, con professionisti del cinema come la costumista Milena Canonero (che vince così il suo terzo Oscar dopo "Barry Lyndon" e "Momenti di gloria".), con i New Order, i The Strokes, i Bow Wow Wow, Air , The Cure tutti insieme per una stralunata colonna sonora e ci delizia con inquadrature a metà fra i delicati toni pastello di una tela del Tiepolo e il barocco più pesante e kitsch in un tripudio di nastri, fiocchi e merletti.

La sempre angelica ed eterea Kirsten Dunst si cala nei sontuosi panni di Maria Antonietta, adolescente figlia dell'imperatrice austriaca Maria Teresa, interpretata da Marianne Faithfull. Come d'uso presso le antiche famiglie reali, la giovane fanciulla è promessa in sposa al delfino di Francia Luigi XVI (Jason Schwartman). Lei è poco più che un'adolescente e non sa cosa la attende aldilà della frontiera. Giunge infatti in Francia con le migliori prerogative ma inizia a detestare la vita di corte per la scarsa attitudine ai cerimoniosi riti che vi si svolgono, per la falsità dei cortigiani. La poverina non riesce neanche a instaurare un buon rapporto con il neo-marito che si dimostra sempre più formale e scostante nei suoi confronti anche a letto (la prima parte del film è segnata dai ripetuti approcci di lei ad un po' di sano sesso ma lui si oppone; di conseguenza niente bebè, niente erede al trono, tutta la corte contro la regina e la sua eventuale sterilità). Questa situazione indirizza Maria Antonietta verso il lusso della vita mondana, i folleggiamenti con le amiche, dolci, tanto champagne, amanti e vestiti (binomio da "Sex and the city"). Ma la sua vita non si compone solo di questo ma anche di impegno intellettuale e di momenti di grande emotività. Purtroppo, una volta divenuta adulta e matura dopo aver sguazzato nel fasto, si rende conto che quanto fatto di serio è piuttosto scarso, di essere stata una madre pessima e  tutto ciò che può fare nelle vesti di una regina è porgere il capo al boia.

E' divertente lasciarsi spiazzare da una pellicola che racconta la vita a Versailles nel XVIII secolo come una lunga notte di concerti dagli anni '80 ad oggi. L'operazione effettuata dalla Coppola ha alle spalle già dei precedenti, dal litigioso Daltrey in "Lisztomania" di Russell al casinista Hulce di "Amadeus" di Forman. D'altronde la storia di una monarca insofferente verso le costrizioni della soffocante vita di corte non è affatto nuova, basta citare le varie Sissi interpretate da Romi Schneider. Sofia Coppola ha apertamente dichiarato a Cannes di essersi ispirata a questo cinema ma è chiaro che i personaggi sono impostati su registri diversi. Maria Antonietta è una giovane ragazza che viene proiettata dal microcosmo della sua reggia austriaca tenuta nella bambagia da un nugolo di istitutori e dame di compagnia sotto il vigile sguardo di mammà ad una realtà ben più fredda che da lei pretende soltanto. Il passaggio viene evidenziato da una scena specifica ossia quando la Dunst viene scortata al confine e lì si spoglia dei suoi abiti "austriaci" per indossare quelli "francesi", è costretta a congedarsi dal suo amato cagnolino e a partire alla volta di Parigi fra lacrime e singhiozzi rivendicando quell'unicità dei sentimenti che ogni adolescente rivendica nei confronti del mondo adulto. Un momento di delicatezza che contrasta con la scena finale della camera da letto dei due sposi reali completamente devastata dai rivoluzionari che avevano fatto irruzione nella reggia, improntata ad una triste crudezza.

I vizi ai quali si dedica una volta giunta a Parigi vengono giustificati come uno strumento di evasione rispetto al deprimente rapporto con il marito. Ha inizio l'opera di riabilitazione del personaggio storico? No. Certo, vuole farla apparire meno cretina e maligna di quanto ci è stato tramandato ma il suo scopo non è restituirle dignità storica. Se così fosse il film sarebbe tutto da rifare perché non si rivaluta la storia con l'occhio moderno. Invece la regìa cala il personaggio nella modernità (basta ricordare la Converse infilata nella carrellata di scarpine da sera in perfetto stile rococò). In realtà Sofia Coppola strumentalizza la figura della regnante per ribadire quel che aveva già detto nei suoi lavori precedenti: l'attenzione maniacale e opprimente con la quale ci si rivolge oggi ai giovani (togliendo loro il giusto spazio) già tema principale del debutto è evidenziato anche qui in numerosi momenti della narrazione (dalle damigelle che assistono alla vestizione mattutina della sovrana alle pressioni della sua tutrice affinché desti desiderio sessuale nel marito) così come ritroviamo anche lo smarrimento di se stessi nella ricerca di uno scopo, di maturità, di vita e la conseguente chiusura in un mondo dorato e intimo, chiave di lettura fondamentale per "Lost in Traslation". Forse questo indebolisce la pellicola: la leggera ripetizione di temi affrontati nel passato.

In ogni caso è troppo poco per bocciarla.

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