Giretto in collina a caccia di luce. Faccio caso a un cd senza custodia che, sommerso da foglioline di drum, se ne sta seminascosto sotto il sedile dell'auto. Lo prendo, soffio via il tabacco, lo metto su. Minchia, sono i Can, il pezzo dove Damo canta come un gattino. Mi scappa un sorriso e sorride anche il sole che stamattina è come un bicchiere di aranciata quando hai sette anni. Il cd è un mistino, dopo i Can vengono i Neu e i Neu in macchina spaccan come pochi. Ah, merda, tutto bene. Intanto scorrono i titoli di testa. Il film però non ve lo racconto.

E non ve lo racconto perché devo arrivare al dunque, un dunque dove non son più le otto, ma mezzogiorno e io sono in biblioteca e a attirarmi è un manualetto esoterico sui dischi più underrated degli anni zero. Lascio al mio folletto musicofilo il compito di aprirlo a caso e la ruota della fortuna si ferma a pagina 52 dove sulla copertina di “Uncanny tales from the everyday undergrowth” campeggia uno strano felino. Allora ripenso al miagolio di Damo Suzuki e mi dico che, cascasse il mondo, devo assolutamente ascoltare questo disco.

Così nel pomeriggio si va di nuovo in gita, questa volta però non sulle colline imolesi, ma in Galles. Aziono il tubo, modalità full album, e finisco in una piccola bottega musicale senza tempo dove trasognati artigiani intarsiano e cesellano una strana forma di incanto. In quel luogo, qualcuno mi fa notare, si conservano gli antichi formulari sixties e si studiano i vecchi canoni, il canone Syd, il canone Incredible, il canone Byrds. Ecco, immaginate tutta una serie di ampolline e boccette che in elisir e essenza stan li a tramandare gli oscuri segreti della psichedelia d'antan. Secondo il manuale che mi ha portato fin qui questi scienziati dal cuore tenero si son dedicati a “uno studio matto e disperatissimo” di tutto quell'arcano ben di dio, ricavandone l'intenzione di distillare una specie di grammatica dello stupore. E il bello è che ci son pure riusciti.

Ogni brano che esce da quella piccola bottega è infatti un magico flusso ininterrotto, una perfetta unità di suono che fonde insieme con disinvolta leggerezza tutto un pullulare di scie luminose e purissime fiammelle. Un attimo sei la costellazione e l'attimo dopo uno dei mille puntolini argentati, ma questo poco importa, che, seguendo uno spiritello nel vento, sei comunque il vento.

Tutto è come in sordina e insieme rifrangente. Con una specie di grazia che, segnata da un infinitesimale ma costante corto circuito, disegna un'atmosfera di lieve e divertito spaesamento. “Come se qualcuno rispondesse in modo sciocco alle domande serie e in modo serio alle domande sciocche” direbbe Wes Anderson.

Del resto le note di copertina parlano chiaro: “un senso di meraviglia che si fa musica, il suono di una stella che vola via alla fine del muro, la tela di ragno incrostata dalle gocce di rugiada...pentole e padelle, pettini e quaderni, banjo e gnomi da giardino sono i nostri scudi contro i demoni di roccia grigia”.

Notare prego come, in una favolosa contiguità tra meraviglioso e ordinario, siano mischiati tra loro tutta una serie di elementi che, solitamente lontani, qui invece si danno allegramente la mano. Così stelle e pentole, pettini e rugiada non stridono ma assuonano, come, pur in preda al contrasto, non stride ma assuona la musica che li trasporta.

E comunque io son già pazzo di questi luminosi mantra folk pop che oscillano come un'altalena in un pomeriggio assonnato. Qualcosa, fate conto, tipo gli XTC più sognanti insieme all'Incredible string band con Syd che fa capolino come nume tutelare. Del resto solo così una filastrocca può avere il profumo di un'antica ballata.

Ecco, l'astronave è di nuovo nella mia cameretta, il viaggio è finito. Esco per prendere il latte. Appena fuori dalla porta, trovo sulla strada una carta da gioco infantile, sopra ci sono disegnate tre apette. Nella mia mente allora associo l'alveare (un luogo magico) alla piccola bottega musicale degli scienziati (altro luogo magico). E' un cerchio che si chiude e si chiude a cuor leggero. Anche perché so che ben presto se ne aprirà un'altro. Au revoir...

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