Soft Machine, pronunciare queste due parole possono avere un unico ed indiscutibile significato “Leggenda”. Il disco che oggi prendo in esame è “Fourth”, album che segue gli stessi binari di “Third”, con atmosfere jazz nelle quali non mancano accenni di rock psichedelico, anzi i brani si “trasformano”, passano dal caro e vecchio jazz ad uno stile più moderno; ne è esempio il primo brano “Theeth”, nel quale si parte lentamente fino ad arrivare alla pazzia degli strumenti, geniale. Ma sono questi i Soft Machine, è nel loro DNA, hanno segnato la storia, l’ intermezzo tra due generi musicali totalmente diversi, quello più antico il jazz e quelli più moderni. Punto fermo di qualsiasi intenditore di musica, il giusto equilibrio tra tecnica e “bellezza”, questo è “Fourth”, un’opera a mio avviso, leggermente sottovalutata, perché alla pronuncia del nome di questi artisti , sono degni di essere chiamati in questo modo, a differenza di questi creatori di pattume del giorno d’oggi, ci viene in mente il “fratello maggiore” mentre in tutta la loro discografia non esiste un album non valido o da dimenticare, tutti incredibilmente fatti bene, con la cura dei anche più piccoli particolari. Ma il vero punto forte dei musicisti di Canterbury viene ora; c’è un fattore che si deve notare per capire se la musica è davvero di qualità, la ripetitività, in questo e tutti gli altri album che hanno prodotto ciò è totalmente assente. Dei maestri, nulla da aggiungere, mai una nota fuori posto, arte allo stato puro, non sto esagerando, uno dei migliori gruppi musicali a mio avviso, a prescindere dal genere, forse un po’ sconosciuti alla grande massa, ma se si vuole la qualità la fama si ce la può scordare. Le cinque stelle sono assicurate, ma che si pretendeva, i Soft Machine sono una garanzia.
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