Ingiustamente oscurato dai due lavori successivi, il primo album dei Soft Machine contiene alcune delle migliori trovate pop dell'intera scuola di Canterbury, e notevoli brani più sperimentali, tipici di quell'avanguardia-che-non-si-prende-sul-serio di cui la band diventerà uno dei maggiori esponenti.

Il disco comincia con "Hope For Happiness", e "Hope For Happiness" comincia con "aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah". Un brano dissonante, con due tracce vocali magnificamente sovrapposte, e con un ritornello che avrebbe fatto storia se i Soft Machine avessero avuto un decimo del successo che si meritano. Un'altra traccia che necessita di un commento è "Why Am I So Short?", che continua nella successiva "So Boot If At All". Melodia fantastica, stacchi ritmici eccellenti. Uno dei pezzi migliori, se proprio devo dirla tutta; un brano golosamente pop che sfuma in un delirio di dissonanze tenute assieme dalla batteria Wyatt, e che si chiude col ritorno del tema principale.

È un disco che in alcune occasioni appare poco spontaneo, ma è così pieno di idee, potenza e ironia [finire la frase con un paragone banale a scelta tra "da renderlo uno dei migliori dischi dell'intera scena di Canterbury"... "da inserirlo immediatamente nel pantheon dei dischi irrinunciabili"... "a mio zio stanno sul culo i maestri di sci"].

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