Se uno pensa all'anno millenovecentonovanta pensa all'elettricità, al ritorno delle chitarre, al declino dei sintetizzatori. Se uno si avvicina a "Trees in Winter" con queste mire, solo perchè "Trees in Winter" è di quell'anno, farà un grossissimo errore.
Accantonati definitivamente gli ultimi residui industrial e wave che ancora avevano contaminato l'EP di debutto e il successivo "Lex Talionis", Tony Wakeford fa il suo ingresso nel decennio del grunge, dell'indie, del post-rock, della techno e del trip-hop armato non altro che di chitarra, flauti e violini.
Nel millenovecentonovanta Tony Wakeford è già, come si suol dire, partito per la tangente: il suo volo autistico di sola andata, con destinazione la Fine del mondo, è già a quote vertiginose. E "Trees in Winter", consacrazione della sua arte trobadorica, non è altro che il primo anello di un tunnel di cerchi concentrici che lo condurrà indenne fino ai giorni nostri, incurante dei progressi del mondo moderno.
Ian Read è ancora al suo fianco, per poco però, perchè già dopo l'uscita di "Trees in Winter" se ne va sbattendo la porta per fondare i suoi Fire + Ice, altra gloria del folk apocalittico. La bellissima voce di Read c'è ancora però, ed ampi sono gli spazi ad essa concessi. Ma è ovvio che i Sol Invictus sono Wakeford, e che un abisso sotto troviamo Karl Blake (basso), Sarah Bradshaw (violoncello, flauto e voce), Joolie Woods (violino) e James Mannox (percussioni a mano): ottime reclute grazie alle quali la scarna musica dei Sol Invitus diventa un folk suggestivo, seppur semplice e rozzo, ben orchestrato, che affonda le radici nel folk più fottutamente popolare, sporco, lurido folk medievale, quello che cresce nel fango, nel tanfo della peste, all'ombra degli alberi morti e delle croci di pietra. Mettiamoci poi la vena tragica di Wakeford, la sua passione, il suo pessimismo e capiamo perchè questo folk si usa chiamarlo apocalittico.
"Here we stand like trees in winter": è in scena la Fine del Mondo.
E che Fine del Mondo. I primi cinque brani sono classici immortali dei Sol Invictus e di conseguenza del genere intero: "English Murder", "Sawney Bean", "Gold is King" (aperta dal biascicare farneticante di Ezra Pound), "Media" (classico dei classici), "Looking for Europe" (ultimo retaggio dei trascorsi nei Death in June) sono inni di solitudine infinita ed indomito orgoglio.
Ma non sia mai detto che i cinque pezzi che rimangono siano da meno: "Here We Stand", "Michael" (saccheggiata da Read: diventerà repertorio dei Fire + Ice"), "Deceit", "Blood of Summer", la solenne "Trees in Winter". Perchè la canzone più bella dei Sol Invictus e qualla più brutta non sono poi così diverse. Perchè lo Spirito che le anima è sempre lo stesso.
Sol Invictus non è Arte: Sol Invictus è lo Spirito che corre impavido e trascina le note contro il vento ed il gelo, attraverso le foglie secche, i fiumi impetuosi, i cieli burrascosi, e laddove le note si disperdono, lo Spirito va avanti indomito. Wakeford e Read si avvicendano dietro al microfono, ma non cambia assolutamente niente. Molti uomini e donne si avvincenderanno dietro Wakeford, ma non cambierà un cazzo di niente.
E quello che mette paura davvero, è l'impressione che i musicisti suonino nel Niente, che attorno a loro non vi sia niente altro che desolazione: un Niente addobbato di macerie e scarni alberi che lanciano le loro braccia rinsecchite al cielo. Un cielo grigio, pumbleo, denso di nubi, che promette pioggia, forse la Fine del Mondo. E se la chitarra marcirà nelle corde e nel legno, quella mano continuarà a suonare sotto la pioggia, mentre legno e corde si sfaldano nelle mani e il violino squarcia il cielo e le percussioni incalzano spasmodiche taumaturgiche danze di disperazione.
Questo è il vero folk apocalittico. Quello di Douglas P. è un'altra cosa ancora, è appropriazione mentale, è disgregazione dell'Io, mentre l'Io di Wakeford è più duro e puro del cazzo di un bronzo di Riace. Io l'ho capito qual è il segreto di Wakeford, sono i limiti la sua forza: sono le sue rozze corde vocali che si intrecciano e si ingolfano in quel nodo in gola, quel cazzo di nodo in gola che anche se ti scoppia la gola, tu continui a cantare, a steccare, a sanguinare fino a quando c'è il fiato in gola. E quando finisce il fiato continui uguale, con la voce del cuore, con la passione che ti anima, con l'ostinazione che ti rende cocciuto, cieco, disperato. Uno scemo a cantare della Fine del Mondo. Anche se non sai suonare. Anche se sei condannato a perdere.
Chi volesse saperne qualcosa sul folk apocalittico, è pregato di passare da queste parti.
Carico i commenti... con calma