Sol Seppy è lo pseudonimo di Sophie Michalitisanos, violoncellista professionista nonché polistrumentista e già collaboratrice di Sparklehorse.
Dopo aver partecipato ad un tour in cui ha fatto da supporter ai Radiohead, ha finalmente ottenuto un contratto con l’etichetta Gronland e ha pubblicato quest’anno, sotto la protezione del suo mentore Mark Linkous (Sparklehorse, appunto) l’esordio “The Bells Of 1 2”. Ciò che colpisce del personaggio, oltre alla sua indubbia avvenenza, è l’abilità d’arrangiatrice: ogni brano è travolto da una quantità notevole di suoni d’ogni tipo, da quelli più acustici e “veri”, a quelli più artificiali, puri effetti di studio.
In questo senso Sophie è una creatura sorprendente: nasce come cantautrice nel senso più tradizionale del termine, ma è molto difficile trovare nel disco un brano che assomigli ad una ballata spartana incentrata sulla voce e uno strumento. La voce (bellissima, calda e sensuale) sembra sempre filtrata, edulcorata, senza che per questo manchi di intensità, gli arrangiamenti trasformano scheletri di canzoni in allucinazioni, febbrili e stralunate. Il risultato fa spesso pensare ad un incrocio tra i Portishead e i Mazzy Star. L’iniziale “1 2” stabilisce le coordinate del lavoro: intrecci dolcissimi di tastiere (quasi una versione più terrena dei Mum), un radioso ritornello, in cui la voce si perde in un labirinto di vocalizzi sognanti, per tornare (in maniera perfettamente simmetrica) al giro di tastiere che l’aveva portata alla luce.
Il suo romanticismo decadente è in primo piano in ballate pianistiche meste e malinconiche come “Human” o la sconsolata “Injoy”, sussurrata con un filo di voce ad un amore lontano. A volte i trucchi sono un po’ troppo evidenti: “Move” e “A To N” sono in pratica una ballata trip hop (la prima) e una serenata classicheggiante (la seconda), la cui unica peculiarità è quella di essere formalmente prive di strutture: tuttavia, la perfezione degli arrangiamenti e lo straziante pathos del canto (specie nella prima) salvano questi (poco riusciti) tentativi di innovazione. In “Gold” la voce si fa strada timidissima e spettrale tra i rintocchi del pianoforte, finché le fa eco il breve lamento del violoncello. “Come running” fa pensare a una versione pop di Cat Power (anche se il bridge acustico sfiora il plagio di “ Metal Heart” ). Lo stile è meno a fuoco in un brano come “Love’s boy”, pericolosamente a metà strada tra un pop zoppicante e la musica da camera (per l’arrangiamento d’archi), eppure straordinariamente ammaliante; si muove invece in territori decisamente più sicuri nella tetra “Farewell your heart”, che di fatto ha la forma di una regolarissima ballata per chitarra a voce, ma è turbata da un’ atmosfera noir e scostante, ingentilita dalle note più acute del pianoforte.
Un giro di piano classicheggiante introduce “Slow Fuzz”, che presto si trasforma in un rock fumoso e notturno in crescendo, sei minuti da brividi. “Wonderland” è una ballata vagamente alla Tori Amos, in cui il canto, all’inizio sottotono, si lascia lentamente andare ad un altro, lirico crescendo. La conclusiva “Enter One” è un’ambiziosa sonata pianistica di sei minuti, che però ripete, amplificandole, le intuizioni già proposte nel resto del disco.
Una leggera (e perdonabile) monotonia non impedisce a “The Bells of 1 2” di essere un disco decisamente riuscito: il brillante incrocio tra un tenero romanticismo e una componente più scopertamente onirica ne fa un esordio di altissima classe.
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