Quando qualcosa riesce bene - bene davvero, intendo -, svilupparne l'appendice diviene un filino complesso. E' necessario dimostrare, insomma, che la bontà dell'opera originaria non fosse mero fuoco di paglia, rispettare, per quanto possibile, le aspettative, mantenere un tessuto di linee-guida vincenti, apportando - ed intrecciando - ad esso elementi innovativi, prestando altresì attenzione a non stravolgere il tutto. "Innovare" e "mantenere", un equilibrio semi-mistico, teoretico, ciclico, quasi equivalente, in fondo, a due differenti componenti del medesimo apparato. Quasi pari al rapporto concettuale tra il "rosso" genericamente rappresentante lo stravolgimento, e il "nero" ricacciante il tutto nelle tenebre, riportando il giusto ordine - il quale spesso tende ad assurgere a dimensione cosmica-universale - alle cose.
Ma se di "ordine (ri)stabilito" si tratta, certo deve pur esistere qualcosa, a monte, che dia l'impulso di base al meccanismo. Qualcosa che esuli dal campo della razionalità, qualcosa che nessuno tra gli uomini, nemmeno i poeti - che possono "solo" cantarne l'incomprensibile, leopardianamente infinita magnificenza - possano comprendere. Bragi lo Scaldo, e la sua ars, non furono esenti da tutto ciò. E ora, sul punto di abbandonarsi per sempre al bollente, lavico grembo del vulcano Hekla, qualcosa di inaspettato, totalmente privo di ragione e senso, interviene a sottrarlo a forza dall'inevitabile. Non "Morte" è il tuo destino, poeta, ma vita, e "Vendetta". Sette anni sono passati, sette anni di tortura, e lenta distruzione, ma non è necessario che egli capisca. Siamo tutti soggetti ad imperscrutabili disegni e macchinazioni divine: solo dalle rovine, dalla polvere, possiamo risorgere. Quanti secoli sono trascorsi da allora. Le generazioni passano, il tempo scorre ineluttabile, le prospettive mutano, le tragedie - queste si - restano, e quanto più grande è colui che le canta, tanto più le gesta dei protagonisti saranno scolpite indissolubilmente nella futura memoria. E tu? Ti ricordi di me? Per anni ho vagato, abbandonato, tra i ghiacci.
Così si apre il secondo e conclusivo capitolo dell'Odissea islandese concepita dal binomio Lazare Nedland - Cornelius Jakhelln. Ed è un grido disperato, in cui tuttavia è già possibile intravedere sullo sfondo, ben definita, un'esplosione di rabbia, che si consoliderà pienamente in seguito. "Red for Fire + Black for Death" è un esordio con i fiocchi, un frullato di atmosfere apocalittiche e timbriche orientate ora verso il black canonico, ora verso l'avantgarde, come non accadeva - non in queste modalità espressive - da "The Linear Scaffold", primo lavoro ufficiale targato Solefald. Se nella prima parte dell'opera, ad aprire le danze era stata la cadenzata, dolce e malinconica "Sun I Call", è evidente qui una netta inversione di tendenza, preludio allo sviluppo tematico e musicale dell'album nel suo prosieguo; uno scoprire subito, con decisa immediatezza, le carte: attenti, questo non è semplicemente "Red for Fire", si va oltre, il fuoco stringe amicizia con una funerea oscurità, e ciò che ne risulta è assolutamente fuori dal comune. Attraversata la Baia di Fumo, diretto verso la città, lo Scaldo è costretto a fare tappa forzata in "Underworld", dimora del "Nano d'Argento", che insegnerà lui ad amministrare in modo propizio le proprie emozioni, al rispetto del proprio io, al valore dell'orgoglio: "Silver Dwarf" è magica, ipnotica nel suo scream fiabesco - che raggiunge insolite vette di espressività - giocata e modulata su rapporto voce-basso e dissonanze, come la narrazione - e l'azione - richiede. Appena prima, parentesi jazzistica sperimentale trainata dal sassofono di Kjetil Selvik, ad arricchire ed ampliare gli orizzonti stilistici dei norvegesi. Come il mondo sotterraneo è completamente differente rispetto a quello comunemente conosciuto, così sono evidenti i contrasti sonori tra i rispettivi universi: luoghi labirintici e intricati, ove regna una pace di fondo che tuttavia è figlia dell'assenza di luce, risultante in mistero ed inquietudine, un turbinio di sensazioni contrapposte, per cui capirci qualcosa diviene davvero complesso.
Ma Bragi è finalmente pronto, pronto a proseguire nella propria - epica - "Necrodyssey" (letteralmente, odissea mortale), e giungere a un momento catartico, di alta drammaticità: il contatto con i propri antenati, perché possano trasmettergli la forza necessaria al compimento del proprio destino. Tornano gli archi, il growl, lento climax culminante nel magnificente, elevato, presago grido: "Till Hel decides who she wants to burn". Lei, al Regina, l'inizio di tutto. Non è propriamente un caso che, a questo punto della narrazione, sia introdotta una rivisitazione della precedente "White Frost Queen". Da segnalare la presenza di Garm (Ulver) quale cantante, protagonista del duetto con la magnifica Aggie Peterson in "Locki Trickster God", svelante il retroscena della divinità ingannatrice, esattamente quanto, in precedenza, si era taciuto. Ora tutto, infatti, seppur sotto l'influenza misterica del "nero" - cioè il colore associato al buio -, prende forma e contorno. Come Edipo che, solo dopo essersi accecato, riesce a comprendere concretamente la situazione; riesce a vedere - si, vedere - chiaramente le cose come stanno. E', in fondo, una parziale ripresa tematica del ruolo del poeta. Noi conosciamo la realtà attraverso la convenzione del linguaggio. Venuto meno colui che il linguaggio lo crea, la concezione del vero è irrimediabilmente compromessa.
L'equilibrio è tuttavia prossimo, e così il confronto tra lo Scaldo e i protagonisti della sua umiliazione. La Regina rivela il proprio dolore, l'amato uccide il Re, guidato da un'enfasi divina ferisce Loki, prima di essere a sua volta, shakespearianamente... trafitto. La fine d'ogni cosa, l'ordine ristabilito. Il tempo dispari - cardine strutturale del brano - che accompagna la Regina, in fuga con un servo di corte, verso le coste norvegesi, è emblematico del tormento vorticoso di colei che, in fondo, può considerarsi a ragion veduta vera protagonista, alla pari di quella Elena che tanti guai causò a troiani ed achei. Un'ultima onda, un'ultima infinita, indelebile onda, "Sagateller", ove prog, black, avantgarde, viking coincidono, apportano un flusso crescente, che assume contorni oscuri, prima di infrangersi sugli scogli, ed affondare nell'Oceano, un oceano nordico, un oceano nero.
"Figlio di Laio, vorremmo non averti mai visto; e piangiamo su di te, gridando dalle nostre labbra i più tristi lamenti. Eppure, se si deve dire la verità, grazie a te abbiamo avuto respiro, grazie a te abbiamo potuto dormire" (Edipo Re, Sofocle).
Nero per la Morte.
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