Ti sei mai svegliato - magari nel bel mezzo della notte -, dopo una parentesi onirica, pensando: "ma che diavolo di sogno ho fatto? Davvero il mio subconscio produce un livello tanto elevato e complesso di sottotrame, chiavi di letture nascoste ecc.; oppure sono tutti elementi buttati lì a caso, e come cascano, stanno?". Sogno e realtà, un gran bel casino. Poniamo allora che qualcuno, o qualcosa, anche solo per un istante, faccia luce dall'esterno, e consenta in tal modo di illuminare il tutto, di dare il giusto ordine, la corretta posizione alle cose. Il tempo di raccontare, renderti partecipe del suo sogno, un breve apprendistato per far si che, la prossima volta, te la possa cavare da solo, nulla più.
Quello di Bragi lo Scaldo - islandese per "poeta" o "cantore" -, è bene premetterlo, non è un "sogno" qualunque (se mai esistano). Il primo riferimento che mi giunge alla mente è certamente Samuel Coleridge e la sua "Ballata dell'Antico Marinaio" (si, quella musicata dagli Iron Maiden in Powerslave). Corro consapevolmente il rischio di eventuali mistificazioni - incentrato e focalizzato sulla morale cristiana l'inglese, legati a doppio filo alla mitologia norrena i norvegesi -, poiché l'iter narrativo e tematico tra le due opere è speculare, secondo canoni - ad oggi - ben definiti. E così, come il marinaio inconsapevole uccide l'albatross, e con esso il paradigma del creato divino, così lo Scaldo, attratto e sedotto da Disa, la "Regina Bianca dei Ghiacci", attira su di sé le ire e l'impetuosa gelosia di Loki, fatto che gli costerà - attraverso uno stratagemma del Dio stesso - l'espulsione dalla comunità per mano di Re Haukur. Ha dunque inizio l'epico, omerico viaggio, tra vendetta, disperazione, redenzione, mistero e mito, in salsa prettamente islandese, dello sventurato Bragi, soggetto in fondo - come ogni uomo secondo i grandi tragediografi greci prima di Euripide -, in maniera talvolta abusante, alla "voluntas dei", senza possibilità di ricorso in appello.
Il ruolo di Bragi nella società del tempo è di particolare fascino: egli, in quanto poeta, suole - è "il suo compito" - assegnare nomi a quelle sfumature contorte dello scibile umano che chiamiamo eventi. "Sun I Call" introduce, come intro triste e malinconico in cui si intrecciano, in pieno stile avantgarde, sassofono, vocals lineari (maschili, femminili) e growl, tale funzione sociale, pennellando dipinti pittoreschi delle sterminate meraviglie nordiche, che tanto affascinarono grandi menti - quale il "nostro" Alfieri -: "chiamo Sole la ruota infuocata, [...] chiamo Mare il gregge d'onde, [...] chiamo Morte la fine di tutto". Indovinata premessa, ispirata quasi fosse una Musa a fornire l'incipit necessario a salpare.
Incipit effimero, in verità: sono infatti le contrapposizioni ritmiche a dominare i successivi minuti, ora taglienti e vorticose, spinte dall'infernale doppio pedale di Lazare e dallo scream di Cornelius, ora lucide, melodiche, voci e cori divengono quasi teatrali, tastiere ed archi (in stile Borknagar) suggeriscono quiete, e il tutto ripiega su se stesso ciclicamente, senza riferimenti, come un estemporaneo, nordico temporale estivo.
Struggente la strumentale "Bragi", un minuto, uno soltanto, per entrare nell'animo e nelle sensazioni più profonde del protagonista; e, guarda caso, posta quasi ad introdurre la cullante "White Frost Queen", perla di pathos interpretativo grazie alle qualità canore di Aggie Frost Peterson, soave e "calda" candida regina, a rompere un senso di isolamento e sterminata desertificazione progressiva di fondo, ove ancora una volta violini e violoncelli indicano la strada da percorrere, ancora una volta tortuosa, estesa. I due personaggi stanno dunque quasi accanto, metaforicamente, nonostante debbano forzatamente essere distanti in concreto, e forse tale chiave di lettura deve ricercarsi nell'ambiguità di lei, che porterà lo Scaldo all'esilio dalla città. Per l'occasione tornano, dirompenti, growl e blast-beat, fantastici nel proprio meta-significato (si veda Ayreon, progetto di Arjen Lucassen che, in pieno stile rock-opera, attribuisce un ruolo ad ogni singolo cantante, e relativa modulazione vocale), oltre la trattazione testuale, a suggerire il contrasto, la tortura interiore, l'umiliazione, acuita dalle inequivocabili parole di scherno del Re. Il poeta, colui che dà il nome alle cose, colui che definisce la realtà, viene allontanato, ingiustamente, dal proprio mondo: ed è proprio la realtà - per mano di Loki - ad essere rovesciata ed allontanata dal vero.
Folk e avanguardia divengono predominanti nel preludio al gran finale, con "Crater of the Valkyries", ove la sorte, le rune, gli dei, decidono del futuro dello Scaldo. E nella drammaticità del momento, un vortice infinito mescola sentimenti, sensazioni, voci, strumenti e carte, estraendo quella decisiva, quella del destino ineluttabile. Notevoli l'alternanza timbrica, la batteria variegata, il sound epico, vichingo, solenne che scandisce la trama. Il tempo di una malinconica e visionaria ripresa - al passato - dell'esordio, con "Sea I Called" - torna il tema della ciclicità, che domina questo capitolo e quello successivo -, e il viaggio si interrompe, con la chiusura minimalista di "Lokasenna" (il cui tema verrà rielaborato in seguito in due parti ulteriori), poema scaldico estratto dal manoscritto medievale "Codex Regius", e relativa "Edda poetica", in cui Loki punta il dito contro gli dei, incentrando le accuse sull'incesto. Interamente parlato, grazie all'apporto esterno di Jormundur Ingi, è la giusta appendice al corpus principe dell'opera, a ciò che tende a voler trasmettere, in termini di impatto emotivo e letterario.
Ma il viaggio è appena cominciato. Itaca ancora non si vede. Nemmeno i serpenti marini. La strada verso la perdizione è ancora pienamente tale, le indicazioni verso la redenzione sono offuscate. Rosso per il fuoco...
Elenco tracce testi e samples
01 Sun I Call (06:19)
Sun I call burning wheel
Sword I call wolf of steel
Star I call sword of light
Rune I call sign in stone
Man I call tree that thinks
Earth I call grave of men
God I call not of earth
Sky I call home of gods
Sea I call flock of waves
Ship I call horse at sea
Mount I call giant dead
Wind I call Midgard's breath
Life I call kiss of gods
Fire I call wrath of life
Love I call lust for more
Child I call made of love
Name I call eternal life
Worth I call what lives on
Law I call hard as Hel
Fear I call unjust law
King I call head of men
Queen I call pride of king
Dream I call what is not
Time I call Odin's dream
World I call Yggdrasil
Death I call end of all
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