C'era una volta il Delta blues, le chitarre folk ad abbozzare un clima sofferto e palustre, la fatica degli afroamericani curvi fra i campi di cotone, le feste disagiate nei juke joint...e c'erano una volta pure i crocevia, dove - se eri un musicista di strada - potevi pure fare un patto col diavolo.

Le sponde del Mississippi, il mondo di Son House, che forse arriva subito dopo la popolarità di Robert Johnson, anche se House rimane autore di quello che oggi è considerato il più schietto e sobrio manifesto del delta blues: Death Letter.

Si, certo Johnson aveva la sua Sweet Home Chicago, che oggi conoscono anche i muri grazie a un riadattamento molto famoso dei The Blues Brothers, e grazie anche ad una versione meno conosciuta dell'altrettanto famoso bluesman bianco Eric Clapton...oh, se vai a vedere, ce ne sono eh? Mi vengono in mente The Spoonful Blues dell'acrobata Charley Patton (acrobata perché suonava con la chitarra sulla nuca, trent'anni prima che lo facesse Hendrix). O, vediamo... ancora...ah! Devil Got My Woman di Skip James! acuto, spossato e oscuro lamento del blues palustre.

I succitati artisti, erano fra quelli che erano riusciti a catturare il blues nella sua brada forma. Poi c'erano quelli che avevano anche altre influenze, vedi il folk blues di Leadbelly o John Hurt. Discorso a parte per Big Bill Broonzy che tra gli anni venti e gli anni trenta faceva country blues, per poi passare negli anni quaranta, agli strumenti elettrici, diventando di fatto uno dei patriarchi del Chicago blues.

A proposito della scena di Chicago: il blues urbano che sotterra il blues campagnolo...un pezzo di storia che muore, nuovi nomi sulla scena: Muddy Waters, Howlin' Wolf, Sonny Boy Williamson...tutti cresciuti vicino al Mississippi - Williamson addirittura già suonava ai tempi del delta, anche se nasce discograficamente solo nel 1959. Il risultato? I vecchi musicisti in pensione anticipata. Il nostro House ad esempio, fu assunto come operaio, a New York, nel 1943.

Questo disco nasce nel 1965, durante il periodo del folk revival. Sarà stato merito di Dylan, di Joan Benz, non si sa...fatto sta che molti musicisti vecchio stampo furono chiamati a raccolta, per imbracciare di nuovo la cara vecchia chitarra folk, compreso Son House, che in questo The Original Delta Blues, ci propone un affresco sonoro del suo vecchio materiale, rieditato e registrato con mezzi più moderni.

In effetti è un piacere udire un più attempato Son House reinterpretare la già citata Death Letter, Pearline, oppure la pittoresca John the Revelator, ispirata ad un canto di lavoro di fine ottocento, qui presente in una veste che più genuina non si può: neanche un pizzico sulle corde della chitarra; solo voce e battito di mani! Ci sono pure i drammi ferroviari di Empire State Express, o inaspettatamente, un ottimo arrangiamento di armonica a bocca in Leeve Camp Moan... e ascoltandola ti chiedi chissà quante volte House deve averla eseguita assieme a Willie Brown...

Una cosa importante: essendo una registrazione degli anni sessanta, non c'è il classico e maledettamente perenne fregolio riprodotto, non solo dai nastri originali, ma anche dai vecchi 78 giri, quando in pratica dovevi passare tutta la giornata vicino al grammofono, a girare il disco che conteneva solo una traccia per lato. Mettiamola così: le canzoni sono sempre quelle, quindi se ti piace la genuinità assoluta, ascoltati le registrazioni degli anni trenta, senno ascoltati questa che va bene.

Un uomo, una chitarra, una musica sofferta e spiritata. Quintali di mestiere e litri di sudore...prendere o lasciare!

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