C'è davvero qualcosa di magico nella Drum'n'Bass, nelle sue complesse strutture ritmiche, nelle atmosfere a tratti potenti e distruttive, a tratti oniriche, meditative e stranianti. Da qualche anno è tornata in auge, si è trasformata in genere "da rave", ma non bisogna assolutamente dimenticare la sua presenza costante tra le sonorità della fine dello scorso decennio. Nel passato c'è il nostro futuro, si sa, e proprio per questo è possibile scovare sempre nuove gemme, che a distanza di anni mantengono intatto il loro splendore.

Tra le formazioni più interessanti della "prima ondata" Drum'n'Bass si possono senza dubbio ricordare i coraggiosi Sonar Circle, una delle band di punta della storica Reinforced Records (etichetta già attiva nella prima metà degli anni '90, specializzata in Hardcore/Breakbeat, e poi convertitasi al nuovo "verbo" di fine decade): il duo, composto dai talentuosi producers inglesi Dominic Stanton e Jaimie Norman, si distingue fin dalle prime apparizioni su 12" e mix per le ardite sperimentazioni, la scelta di samples onirici ed evocativi, la quasi totale assenza di suoni digitali e vocals, intriganti caratteristiche che fin da subito fanno convergere su di loro l'attenzione degli ascoltatori più attenti ai fermenti del sottosuolo.

E' il 1999 l'anno in cui gli sperimentalismi dei due giungono al loro punto di arrivo, attraverso la pubblicazione del primo album "Radius", che resta purtroppo l'unico della loro breve ma intensa carriera: nello spazio di undici tracce, il disco fornisce un'ottima sintesi degli elementi che caratterizzano il sound oscuro, cosmico e per nulla "easy" dei Sonar Circle, e in alcuni momenti sembra davvero di gravitare nello spazio o nell'orbita di qualche remoto e sconosciuto satellite. La copertina, con il suo indecifrabile design biomeccanico, sembra quasi preannunciare il contenuto celato da essa, e una volta inserito il cd nel lettore (o il vinile nel giradischi) è impossibile non lasciarsi prendere dall'enigmatico fluire di battiti sincopati e atmosfere spaziali che è "Radius".

Il track-by-track diviene per questo motivo inutile, sebbene sia possibile registrare una certa varietà sonora che fa sconfinare il gruppo dal ristretto limite di "Drum'n'Bass ensemble": si passa con scioltezza dalla miscela di minacciosi campioni vocali, suoni ipnotici e cambi di registro dell'iniziale "Face Off" alle suggestioni quasi Downtempo alla Kruder & Dorfmeister di "Something Special", passando per le atmosfere jazzy e Hip-Hop oriented di "Mist From Mars", i vuoti e le sincopi disturbanti di "Communication" e, soprattutto, per la magnifica "Susejo", che con le sue drums sporche e potenti rappresenta probabilmente il vertice raggiunto dai Sonar Circle. La tensione sembra smorzarsi parzialmente in "Reincarnation", ma ecco che arriva un nervoso breakbeat, unito a magnifiche suggestioni Funk e percussionistiche, veramente da standing ovation. E' ancora la black music a fondersi con sonorità degne di una crociera nello spazio nella conclusiva e morbida (ma non troppo) "Soul", finale congedo dei nostri e definitivo termine della riproduzione. Risulta superfluo dire che una simile esperienza porti chiunque alla sua immediata ripetizione.

In definitiva, la magistrale capacità di "digging" di Dominic Stanton e Jaimie Norman, la geniale mistura di sonorità Jazz/Funk e suggestioni cosmiche, i continui cambi di stile e registro, sono tutti elementi che rendono "Radius" un assoluto capolavoro della Drum'n'Bass e dell'Elettronica di fine anni '90, ed è un vero peccato che lavori di tale spessore cadano spesso nel dimenticatoio più totale: fortunatamente resta sempre viva la possibilità di scoprire, di andare oltre la superficie delle cose, di recuperare gioielli del passato vicino e lontano che, con il passare del tempo, non smettono di brillare di luce propria.

 
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